08 gennaio 2011

Charles Baudelaire, Perdita d’aureola (tratto da I fiori del male, 1857)

«Come, voi qui, mio caro? In un bordello voi, il bevitor di quintessenza, voi, il mangiator d'ambrosia! Veramente c'è di che stupire».
«Mio caro, sapete quanto temo i cavalli e le carrozze. Poco fa nell’attraversare il Boulevard, in gran fretta, mentre saltellavo nel fango tra quel caos dove la morte giunge al galoppo da tutte le parti tutt’in una volta, la mia aureola è scivolata a causa di un brusco movimento, giù dal capo nel fango. Non ebbi il coraggio di raccattarla, e mi parve meno spiacevole perdere le insegne, che non farmi rompere le ossa. E poi, ho pensato, non tutto il mal e vien per nuocere. Ora posso passeggiare in incognito, commetter bassezze, buttarmi alla crapula come il semplice mortale. Eccomi qua, proprio simile a voi, come vedete!».
«Per lo meno dovreste metter un avviso per chi trovi quest’aureola; farla richiedere alla polizia urbana».
«No, in fede mia! Sto bene qui. Mi avete riconosciuto solo voi. D'altronde la dignità mi annoia, e inoltre penso con gioia che qualche poetastro la prenderà su e se la metterà sulla testa impudentemente. Fare la felicità del prossimo, che gioia! E specialmente d’un prossimo che mi farà ridere! Pensate a X …, o a Z …! Eh? Che bellezza!».
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Versione francese
PERTE D'AUREOLE
Eh! quoi! vous ici, mon cher? vous dans un mauvais lieu! vous, le buveur de quintessences! vous le buveur d'ambroisie! en vérité, il y a là de quoi me surprendre. – Mon cher, vous connaissez ma terreur des chevaux et des voitures. Tout à l'heure, comme je traversais le boulevard, en grande hâte, et que je sautillais dans la boue, à travers ce chaos mouvant où la mort arrive au galop de tous les côtés à la fois, mon auréole dans un mouvement brusque a glissé de ma tête dans la fange du macadam. Je n'ai pas eu le courage de la ramasser. J'ai jugé moins désagréable de perdre mes insignes que de me faire rompre les os. Et puis, me suis-je dit, à quelque chose malheur est bon. Je puis maintenant me promener incognito, faire des actions basses et me livrer à la crapule comme les simples mortels. Et me voici tout semblable à vous, comme vous voyez! – Vous devriez au moins faire afficher cette auréole, ou la faire réclamer par le commissaire. – Ma foi! non. Je me trouve bien ici. Vous seul, vous m'avez reconnu. D'aílleurs la dignité m'ennuie. Ensuite je pense avec joie que quelque mauvais poète la ramassera et s'en coifferaimpudemment. Faire un heureux, quelle jouissance! et surtout un heureux qui me fera rire! Pensez à X ou à Z! hein! comme ce sera drôle!

Analisi (in Antonelli-Sapegno, L’Europa degli scrittori, vol. 3 a, p 240)

Una parabola brillante. In Perdita d'aureola Baudelaire mette a nudo la condizione del poeta nella società industriale con un'immediatezza senza precedenti, affidata in gran parte all'ironia. La forma scelta non è quella del saggio, ma quella, ben più efficace, della parabola brillante, tanto breve quanto incisiva. L'efficacia del poema in prosa è dovuta alla sua struttura dialogica, rapida e ritmata.

Dall'aureola alla sua perdita. Due sono gli interlocutori: il poeta medesimo e un suo amico, il quale apre il dialogo meravigliandosi di incontrare il primo in un «posto malfamato» (r. 1). Il poeta infatti è, nella tradizione occidentale, l'uomo di nobile aspirazione, capace di parlare con gli dèi (e su di lui vegliano le Muse e Apollo in persona). Per questo è chiamato «il degustatore di quintessenze», «il divoratore di ambrosia» (rr. 1-2): non il vino, non comuni cibi materiali, ma sostanze spirituali, divine, sfamavano il poeta, assetato di conoscenze superiori. E si noti l'ironia caustica dell'accostamento di parole sublimi come «quintessenze» e «ambrosia» a verbi carnali come «degustare», «divorare». Ironia che ritorna peraltro nella risposta del poeta. Il quale racconta di aver perso, nell'atto di attraversare la strada, la sua tradizionale aureola, il simbolo di nobiltà e di superiorità sacerdotale che aveva sempre ostentato.

Primo livello di lettura: una realtà mutata. Vi è, alla base di questo aneddoto farsescamente allegorico, una duplice intenzione. Prima di tutto sociologica: il mondo borghese, rappresentato dalla metropoli, piena di «questo caos frenetico dove la morte accorre al galoppo» (rr. 4-5), ha di fatto sottratto al poeta il proprio antico ruolo di guida morale, degradandolo al rango di uomo qualunque. Di conseguenza Baudelaire, che lucidamente ha avvertito questo mutamento epocale, non può che deridere, attraverso la capillare ironia che permea il passo, i suoi colleghi, romantici e tardo-romantici, che ancora all'aureola di poeta non rinunciano.

Secondo livello di lettura: l'occasione di una nuova poesia. Ma vi è un secondo livello di lettura, che è poi quello decisivo. La perdita d'aureola non è solo una condizione imposta, ma il fondamento di una moderna poetica. Il poeta deve assecondare il sovvertimento del suo antico status, che finalmente gli permette di mescolarsi alla gente, «compiere azioni più vili... come i semplici mortali» (r. 9). C'è in queste parole il principio del cosiddetto "maledettismo" di Baudelaire e di molti scrittori successivi: affondare nei vizi, quando non sia una posa, permette al poeta di cogliere i Iati più segreti dell'umanità, e di ricavarne una nuova parola poetica, più profondamente umana.
Postato l'8 gennaio 2011

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