08 gennaio 2011

Arthur Rimbaud, Lettera del veggente (1871)

Il Poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; cerca egli stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale lui diventa il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, - e il supremo Saggio! - Perché arriva all’ignoto! Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Egli arriva all’ignoto, e quando, impazzito, finisse col perdere l’intelligenza delle sue visioni, lui le ha viste! Che crepi nel suo salto tra le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti dove l’altro si è accasciato! (…)
Dunque il poeta è veramente il ladro del fuoco.
Egli è incaricato dall’umanità, dagli animali stessi; egli dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se ciò che riporta da laggiù ha forma, egli dà forma; se è informe, egli dà l’informe. Trovare una lingua; - Del resto, essendo ogni parola un’idea, il tempo di un linguaggio universale giungerà! Bisogna essere accademici, - più morti di un fossile, - per completare un dizionario, di qualunque lingua sia. Se dei deboli si mettessero a pensare sulla prima lettera dell’alfabeto, potrebbero rovinare subito nella follia!
Questa lingua sarà l’anima per l’anima, riassumendo tutto: profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia il pensiero e lo tira. Il poeta definirebbe la quantità d’ignoto desto nel suo tempo nell’anima universale: egli darebbe più - che la formula del suo pensiero, della notazione della sua marcia verso il Progresso! Enormità che diventa norma, assorbita da tutti, egli sarebbe davvero un moltiplicatore di progresso!

Postato l'8 gennaio 2011

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