30 gennaio 2011

Aiutiamoli a scegliere: s’impara così a non avere paura

Lo studio sa iniziare, l'ansia dei ragazzi, il ruolo dei genitori
di Alessandro D'Avenia
«Ho paura del futuro ... iniziare il liceo ... Ci sono tante cose ke nn puoi controllare, mi manca qualcosa ma non so ke kosa ... Voglio che tutto migliori ... ma non so da dove cominciare!».
Sono parole del blog di una ragazza che confida worldwide il suo segretissimo tormento, simile in tante lettere che ricevo. La paura è il denominatore comune delle vite dei ragazzi quando c’è in gioco il futuro: è il segno che stanno entrando nella realtà. Spesso anche io ho paura, ed è il messaggio che la realtà manda per dirmi che la mia libertà è in gioco: la paura è la vertigine della libertà. Ma io ho 33 anni, diverso è quando la paura attanaglia il cuore di un’adolescente confusa sul presente, figuriamoci sul futuro. Per questo i genitori non possono aver paura, o almeno non possono aver paura di averne, di fronte alle nuove scelte dettate dalla riforma. Come consigliare senza sostituirsi? Come non lasciare la decisione in carico solo ai figli?
La scelta non è il giudizio universale: se si sbaglia, si corregge il tiro.
Educare non è essere infallibili, ma servire le vite a noi affidate, gradualmente incoraggiandole ad essere sé stesse, senza sconti. I ragazzi vogliono essere provocati, messi nel gioco della vita, protetti sì dalla paura, ma non dalla libertà: non c’è montagna più alta di quella che non si scala.
Dato che la vita, a raccontarla, consiste nelle scelte che fai nelle circostanze che ti è dato vivere, questa, che è forse la prima vera di un ragazzo, è occasione di crescita personale e familiare. Educare è provocare la libertà a scegliere, e si può scegliere solo se si conosce la realtà.
I ragazzi hanno affrontato test attitudinali, hanno alle spalle anni di studi e molti adulti che li conoscono.
Un bagaglio sufficiente per diventare consapevoli delle proprie risorse migliori e dei propri limiti, per costruire sulle prime e convivere, migliorandosi, con i secondi. In questa linea possono muoversi i genitori, non lasciandosi guidare da esperienze personali ormai lontane o attese sociali e familiari non sempre adeguate alle qualità dei figli. La mamma che vede il figlio con il dito nel naso pensa: sarà un grande ricercatore! Per guidare, senza soffocare o ignorare, occorre avere lo sguardo al futuro e sapere incoraggiare segnali ancora tenui al presente, che saranno ciò che 'salva' quella vita, il punto di appoggio per sollevarsi dal letto al mattino. I genitori faranno bene a scegliere con e per il figlio: se può dare 7, che intraprenda un curriculum che richiede 9, e raggiungerà 8. Solo così quel percorso sarà un viaggio di crescita reale, non un parcheggio.
Genitori e insegnati dicano ai ragazzi le qualità che vedono in loro: una relazione funziona solo se ognuno dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno, costi quel che costi.
La ragazza impaurita ha bisogno dei due pilastri educativi fondamentali per la sua età: contenere la paura dell’ignoto e mettersi in movimento con le sue risorse reali verso una meta, ardua ma possibile. La vita ci è stata data, ma non ci è stata data già fatta, per fortuna. Occorre aiutare e farsi aiutare, cercando il percorso più adatto, alleandosi con un gruppo di insegnanti capaci anche di educare.
Sono i genitori a decidere dell’educazione dei figli, senza delegare, ma rendendo i professori partecipi alla missione educativa, scegliendoli: ti affido mio figlio, aiutami a renderlo sé stesso.
L’inizio di un nuovo percorso scolastico è un’imperdibile occasione per conoscere e aiutare a crescere il proprio figlio/a: cosa guarda, per cosa si appassiona? E poi additare la meta al di sopra (non troppo) delle capacità, con riscontri positivi ad ogni passo di avvicinamento. I ragazzi saranno disposti a lanciarsi in mare aperto, forti dello sguardo di adulti che garantiscono l’esistenza del porto: la certezza che la loro irruzione nel mondo è apportatrice di novità, che altrimenti andrebbero irrimediabilmente perdute. Educare non è controllare, né ignorare, ma servire la novità di ciascuno.
«Avvenire» del 30 gennaio 2011

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