22 dicembre 2010

Voti (severi) agli atenei

Più risorse a chi le merita
di Francesco Giavazzi
La legge sull'Università dovrebbe essere approvata fra oggi e domani. A Mariastella Gelmini va il merito dell'unica riforma varata in due anni e mezzo di governo. Ma l'esecutivo ha perso un'occasione. Il dibattito sulla legge era un'opportunità. Per smascherare chi si è opposto in nome dell'autonomia della ricerca e dell'insegnamento, quando in realtà proteggeva la sua piccola rendita. Per convincere gli studenti che un'Università più aperta è innanzitutto nel loro interesse: difendere chi nell'Università ha avuto la fortuna di entrare, tenendo fuori chi non ha potuto godere di sorte analoga, danneggia prima di tutti i giovani. Per incalzare infine l'opposizione e vedere se il Pd è pronto a tutelare il merito anche quando questo entra in collisione con i sindacati dei docenti.
Invece il governo ha ridotto la discussione a un problema di ordine pubblico. Non ha capito che il movimento degli studenti ha ragioni profonde: è il sintomo preoccupante di una generazione che si sente sempre più abbandonata. Ragazzi allibiti dalla politica che raccontano i giornali, angosciati dalla prospettiva del lavoro che non c'è, delusi da un governo che non ha fatto nulla per loro. Se lo ha fatto, questa era l'occasione per spiegarlo. Accettando il dialogo, non invitando i giovani a restare a casa come ha fatto ieri il capogruppo pdl al Senato Maurizio Gasparri. Gli studenti non rimarranno a casa perché è l'Università la loro casa, ma non cadranno neppure nella trappola di chi vuole farli passare per violenti teppisti.
Ciò premesso, la legge Gelmini non è certo una riforma perfetta, soprattutto per una maggioranza che si dichiara «liberale»: Luigi Einaudi avrebbe redatto un testo molto diverso. Ma, come ho già scritto Corriere, 30 novembre, è la migliore che possiamo attenderci da questa classe politica. In due anni di discussione le proposte avanzate dal Pd sono state o variazioni marginali sul testo del governo, o modifiche più sostanziali, ma nella direzione di una maggiore protezione di chi nell'Università già c'è. La legge è un canovaccio tutto da riempire: se sarà una buona riforma, dipende da come saranno redatti, e in che tempi, i regolamenti attuativi. Tenere accesa l'attenzione è responsabilità dell'opposizione che nei prossimi mesi non dovrà dimenticarsene.
Se la parziale liberalizzazione avrà risultati positivi, sarà effetto degli incentivi che gli atenei percepiranno, cioè dell'efficacia della valutazione, che è il vero cardine della legge. Anche aver trasformato le università telematiche in normali università private non è necessariamente uno scandalo. L'open university inglese è un'istituzione seria e utile. Le nostre telematiche sono per lo più delle truffe: promuovere un insegnamento a distanza qualificato sarà uno dei compiti della valutazione.
L'Anvur, l'Agenzia nazionale per la valutazione dell'Università e della ricerca, nasce oggi con la designazione dei membri del suo consiglio direttivo. Essi dovranno essere molto ambiziosi, avere come propri riferimenti la Banca d'Italia e la Consob perché la formazione del capitale umano è più importante sia delle banche sia della Borsa. Per farlo l'Anvur dovrà avere risorse adeguate. La credibilità del ministro si giocherà anche sui fondi di cui riuscirà a dotarla: se questi verranno lesinati, la riforma sarà stata un esercizio inutile.
«Corriere della Sera» del 22 dicembre 2010

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