12 novembre 2010

Pubblicità mortale

I radicali ci provano. Contro cuore e legge
di Francesco Ognibene
In un Paese nel quale va pericolosamente logorandosi il principio di responsabilità, occorre sempre stare in guardia di fronte alle sparate deliberatamente provoca­torie. A prima vista sembrano eccessi senza futuro, ma poi si scopre che finiscono per scavare nella coscienza collettiva producendo ingenti danni a lunga scadenza. Non ci vuol nulla a tirare un sasso nella cristalleria dei va­lori condivisi da un intero popolo, sperando di produr­re il maggior danno possibile e di portare a casa discuti­bilissimi dividendi. Ma questa attività di premeditato bullismo politico e culturale va chiamata col proprio no­me, smascherandone subito l’aperta strumentalità. E chiamando chi può – e deve, per funzione istituzionale – a sopperire con la propria al grave difetto di responsa­bilità altrui. L’ultimo esempio è di ieri. L’eutanasia in Italia è illega­le? Visto che in Parlamento quasi nessuno la vuole am­mettere per legge, allora si prova a blandire l’opinione pubblica mostrandone il volto 'libertario' e 'pietoso' at­traverso uno spot televisivo nel quale un malato termi­nale spiega pacatamente di voler scegliere come e quan­do farla finita. I radicali, promotori del nuovo abbor­daggio a quello che chiamano «tabù» ma che è sempli­ce senso comune (presidiato dal diritto), tentano una nuova sortita per via mediatica e scavalcano la rappre­sentanza politica, ben sapendo che solo la loro propo­sta di legge sul «fine vita» prevede esplicitamente l’eu­tanasia: dunque sono del tutto isolati, scaricati ieri per­sino dal loro collega nel Pd Ignazio Marino – pure so­stenitore dell’autodeterminazione assoluta –, che teme un autogol parlamentare con la legge sulle Dichiarazio­ni anticipate di trattamento ancora attesa al passaggio in aula alla Camera.
Lo spot non è nuovo alle cronache. Si tratta infatti della versione italiana dei 40 secondi televisivi prodotti in Au­stralia da Exit – l’associazione che si batte su scala in­ternazionale per legalizzare l’eutanasia – e bocciati a metà settembre dalla locale Authority per la pubblicità poco prima che potessero andare in onda. Rilanciato poi in Canada, lo spot viene ora adottato da una delle molte sigle della galassia radicale – l’associazione Luca Coscioni – col chiaro intento di provocare un caso, aprire una breccia e azzardare la dimostrazione del trito teo­rema secondo il quale il Paese sarebbe più avanti del Pa­lazzo (e della Chiesa, manco a dirlo) nell’esigere la co­dificazione di nuove 'libertà', compresa quella di farsi uccidere. È vero: gli italiani sono molto più consapevo­li e maturi rispetto a come vengono dipinti, ma nel sen­so opposto a quello immaginato da certuni. E a poco serve sbandierare sondaggi – come succede in coda al­lo spot – realizzati allo scopo di dimostrare quel che si desidera. Chi soffre (e, con loro, le famiglie) non chiede di morire ma di essere aiutato a vivere. E l’acuta preoc­cupazione con la quale i palliativisti italiani hanno ac­colto ieri la pubblicità all’eutanasia basta e avanza per screditare questionari e campagne.
Va peraltro ricordato agli smemorati che il Codice pena­le sanziona con chiarezza l’«omicidio del consenziente», la fattispecie sotto la quale ricadono eutanasia e suicidio assistito. Permettere che si pubblicizzi un reato attraver­so i mezzi di comunicazione a noi pare inammissibile: ed è lecito attendersi che l’Autorità garante delle comunica­zioni, alla quale i radicali si sono rivolti per chiedere il via libera allo spot della morte, faccia il proprio dovere senza esitazioni fermando questa i­nutile provocazione. Sempre ammesso che non ci pensino prima l’editore o il direttore di Telelombardia, l’emittente commercia­le milanese che si è incautamente pre­stata all’operazione. Associare il proprio nome a questo macabro gioco non ser­ve ad accreditarsi se non presso i ra­dicali e i loro sodali. Poca roba, a conti fatti. Anche per chi doves­se mirare solo all’audience.
«Avvenire» del 10 novembre 2010

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