08 ottobre 2010

Se la politica è solo dei leader proliferano i partiti non le idee-forza

La «società liquida» si riflette anche in questa deriva
di Pio Cerocchi
Ha avuto davvero ragione Zygmunt Bauman a definire «liquida» la società dell’occidente avanzato.
Nessuno attributo, infatti, è più aderente alla realtà per indicare almeno due concetti insieme: la massa e la precarietà delle sue forme. Una condizione che non incoraggia a metter mano a molte iniziative e, tra queste, soprattutto quelle politiche. In teoria. In pratica, invece, avviene il contrario; o almeno così sembra, se è vero che assistiamo senza particolari emozioni, alla nascita, alle aggregazioni e alla scomposizione a getto continuo di partiti e di alleanze. Solo gli esperti, ormai, sono in grado di dire quanti e quali siano i partiti in Italia; e questo groviglio di nomi e di simboli è così intricato che anche i navigatissimi funzionari del ministero dell’Interno, hanno difficoltà a catalogarli senza errori.
Per tutto il Novecento i partiti politici sono stati sempre la conseguenza di una più o meno diffusa condivisione di idee e di progetti di sviluppo sociale ad essi preesistente. E proprio questa loro natura, li ha resi riconoscibili e organizzati. Il rischio, come le tragedie del secolo hanno dimostrato, era il contrario di quelli odierni. Oggi i partiti si costituiscono attorno agli interessi di un gruppo (se non di singoli leader) e solo dopo cercano di dotarsi di un apparato programmatico e di idee da proporre all’elettorato; nel secolo scorso, invece, il pericolo, ma si potrebbe dire la tragedia, era la riduzione e la compressione delle idee in sistemi di potere assoluto, in mano a leader-dittatori.
L’uscita dal Novecento, il 'secolo breve' come giustamente l’ha definito lo storico Eric J. Hobsbawm, simbolicamente rappresentata dalla caduta del Muro di Berlino, pur cancellando l’obbrobrio del totalitarismo, ha, però, coinvolto nella crisi anche i partiti tradizionali non ideologici. Una sorta di rifiuto generalizzato il quale, a lungo andare, si sta rivelando assai meno liberante di quanto si era immaginato. La nuova politica, insomma, pur di liberarsi dai fantasmi del passato, ha finito per buttare via il bambino insieme all’acqua sporca. E siccome anche in politica vale la legge generale che non vi può essere vuoto che non sia riempito, alla crisi della forma-partito è corrisposta con una simmetria quasi perfetta, la proliferazione di partiti incapaci di produrre liberamente idee e progetti attorno a valori condivisi, e anche indisponibili al confronto democratico tra i propri aderenti, e, dunque, senza organizzazione di base.
Quello che conta – come diceva Macchiavelli – è solo l’acquisto del potere. Se poi 'per fortuna' o 'virtù', poco importa. Oggi è il potere a giustificare le idee e non più il contrario, come, invece, avveniva in passato.
Quando ancora c’era il fascismo, De Gasperi lavorava con Gonella, Gronchi, Grandi e Spataro attorno alle «Idee ricostruttive della Dc» che vide la luce all’indomani della caduta del regime, il 26 luglio 1943; mentre i giovani intellettuali dell’Azione Cattolica e della Fuci (Moro, Andreotti, Paronetto, Taviani e tanti altri) riuniti a Camaldoli perfezionarono quell’insieme di principi e di idee così ben strutturato, da poter essere a buon diritto chiamato «Codice».
Per costituire un partito oggi basta una tempesta mediatica nella quale magari si parla di tutt’altro, riducendo l’idea di partito alla sola funzione del potere e di lotta per conquistarlo, senza con ciò avvertire come una esigenza inderogabile l’esposizione e la discussione di idee e programmi, di solito rinviati a una fase successiva. Per prendere i voti, infatti, bastano (o si crede che bastino) i 'media'. Più o meno è questo il percorso con il quale la «società liquida» rende simile a sé anche la politica. Il che, però, non esenta i cattolici impegnati e i cittadini più pensosi del bene comune ad articolare, lontano dai riflettori dei media, le idee che discendono dai valori basilari e attorno alle quali si può ricostituire lo sviluppo e la democrazia del Paese.
«Avvenire» dell'8 ottobre 2010

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