07 ottobre 2010

Se la maternità «costa» l’orfanità del figlio

Paradossi della fecondazione artificiale
di Ferdinando Camon
Ieri, un ricorso di tribunale alla Consulta in tema di fecondazione eterologa (cioè con donatore di seme o donatrice di ovuli 'estranei'). Fatalità o preveggenza, la settimana scorsa su La 7 nel programma di Daria Bignardi s’è parlato proprio di questo, e c’erano in studio una donna single incinta, il donatore di seme, la scrittrice Michela Murgia (premio Campiello 2010), lo scrittore Tiziano Scarpa (premio Strega 2009), e chiedo scusa se dimentico qualcuno. Il donatore di seme fa stabilmente quel mestiere, cioè dona periodicamente il seme a una struttura medica, che lo paga. Abbiamo saputo quanto: per un mese, mille euro. Questo donatore, nel fiore dell’età (a occhio e croce, trent’anni), è un uomo di eccezionale bellezza maschile: torace largo, collo dritto, testa eretta, sguardo azzurro, sorriso smagliante. È probabile che, nell’accettarlo come donatore, la struttura ospedaliera abbia valutato anche l’aspetto fisico.
Non credo che questo donatore doni il seme per i soldi. Non è sembrato un uomo con bisogni economici. No, nel suo gesto c’è qualcosa di più complesso, che da quel che ha detto non è venuto fuori e non è facile ricavarlo. Tra i personaggi sulla scena, era il più scialbo. È parso di capire che gli piace l’idea di avere dei figli in giro per il mondo, sapere che esistono, ma non averli presenti nella vita quotidiana. En passant, ha detto qualcosa di curioso, ma è glissato via con un sorriso. Ha detto: «Mia madre non è contenta di avere dei nipoti in giro, e non vederli mai». In sostanza, la madre intende il rapporto tra nonna e nipoti come frequentazione, come presenza. In questa concezione del rapporto nonna-nipoti c’è la concezione del rapporto padre-figli: anche il rapporto padre-figli è basato sulla frequentazione, sulla presenza. La paternità non è un attimo, è una vita. È convivenza. Colui che dà la vita, convive con chi la riceve, e gli insegna a viverla. Il figlio impara dal padre cose che non impara dalla madre, e dalla madre cose che non riceve dal padre.
L’educazione del figlio, l’addestramento alla vita, son plasmati dalla genitorialità, padre-madre. Il padre ha un tipo di rapporto col figlio, e la madre un altro tipo. Il figlio ha un amore per il padre, e un altro amore per la madre. La perdita del padre è un tipo di lutto, quella della madre un altro lutto, diverso. Per Dostoievski il trauma più grande nella vita di un uomo è la morte del padre, per Peter Handke della madre. Se nella giovinezza il figlio perde il padre, noi diciamo, da sempre, che è orfano. L’orfanità è un trauma. La fortuna del figlio è nascere con padre e madre, e conservarli.
Nascere e diventare orfano è una tragedia, che lo segnerà. Se poi nasce senza padre, nasce già orfano. E questa è la condizione del figlio che nascerà dalla signora incinta, protagonista di quella trasmissione televisiva. Sono state poste molte domande, nella discussione, ma non la domanda essenziale e ovvia, che è questa: un figlio senza padre è o non è un figlio orfano? Si è detto che la fecondazione artificiale riempie la vita della signora, e questo è vero. La signora completa la sua vita.
Forse anche il donatore di seme completa la propria: è single, l’idea di avere dei figli lo eccita, l’idea di non vederli mai lo gratifica, lui è a posto così. Quei mille euro sono un di più. Ma (ecco cosa rimprovero alla trasmissione, a chi l’ha condotta, a chi vi ha partecipato; e poiché questo è il modo in cui s’imposta la questione nella società italiana, ecco cosa non mi convince nella società italiana) donna incinta e donatore di seme non esauriscono il numero degli interessati alla nascita, c’è un altro elemento, qui del tutto dimenticato: il bambino che nasce. Appena nato, è orfano. Anzi: prima ancora di nascere, è orfano. La maternità della donna ha come prezzo l’orfanità del figlio. Non ci sarebbe da laicamente discutere su questo prezzo?
«Avvenire» del 7 ottobre 2010

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