09 ottobre 2010

La macchina del dolore

di Massimo Gramellini
Siamo tutti vittime della stessa macchina. La macchina del dolore, che si nutre di casi umani e in cambio macina numeri dell’Auditel, quelli che fanno la gioia e il fatturato dei pubblicitari. Loro, i burattinai. Gli altri - giornalisti, pubblico, ospiti - i burattini. Colpevoli, naturalmente, ma solo di non avere la forza di strappare il filo. Federica Sciarelli è una giornalista in gamba e una persona perbene, ma forse ha mancato di freddezza. Avuto sentore della notiziaccia, avrebbe dovuto mandare la pubblicità e soltanto dopo, lontano dalle luci della diretta, rivolgersi alla madre in pena, invitandola ad allontanarsi dal video e a chiamare i carabinieri. Una questione di rispetto, ma in questa società di ego arroventati chi ha ancora la forza e la voglia di mettersi nei panni del prossimo, guardando le situazioni dal suo punto di vista?
Noi giornalisti siamo colpevoli di abitare il mondo senza provare a cambiarlo ed è una colpa grave, lo riconosco.
La consapevolezza del potere dei media accresce le nostre responsabilità, ma non può annullare completamente quelle degli altri. Mi riferisco anzitutto agli ospiti dei programmi. Il presenzialismo televisivo della mamma di Sarah ha l’attenuante della buona fede. Ma fino a qualche anno fa i parenti delle persone scomparse andavano in tv per il tempo minimo necessario a leggere un comunicato o pronunciare un appello. Poi si ritiravano nel loro sgomento. Adesso non trovano di meglio che bivaccare per giorni e giorni in tv: non davanti al video ma dentro. Spalancando alla prima telecamera di passaggio la stanza della figlia scomparsa e accettando di partecipare a una trasmissione come «Chi l’ha visto?» dalla casa del cognato, sul quale in quel momento già gravavano forti sospetti.
Non accuso la signora: è cresciuta con questa tv che sembra onnipotente, nel vuoto che c’è. Una tv che è vita meglio della vita e in cui il Gabibbo ha preso il posto del poliziotto, «Forum» del pretore e «Chi l’ha visto?» del detective Marlowe. Mi limito a riconoscere in quelle come lei la vera carne da macello televisivo. Carne che si immola volontariamente, nella convinzione che oggi la televisione possa darti tutto, persino tua figlia. Giornalisti emotivi, tronisti del dolore. Il ritratto di famiglia è quasi completo. Manca l’ultimo tassello, forse il più importante. I telespettatori. Le tante prefiche guardone che sputano sentenze dal salotto di casa. Ah, quanta sacrosanta indignazione! Peccato che durante il melodramma il pubblico di «Chi l’ha visto?» sia più che raddoppiato. Erano talmente occupati a indignarsi che si sono dimenticati di compiere l’unico gesto che potrebbe davvero cambiare questo sistema fondato sul pigro consenso del popolo: spegnere il televisore.
«La Stampa» dell'8 ottobre 2010

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