30 settembre 2010

Quote per portare le donne in quota

di Monica D'Ascenzo
«La legge non ha lo scopo di riportare l'equilibrio fra i sessi, nasce dal fatto che la diversità è un valore e crea ricchezza. Nella mia esperienza ho visto come sono scelti i membri dei board: vengono dallo stesso ristretto circolo di persone. Vanno a caccia e pesca insieme, sono amici». Parole del ministro dell'Industria norvegese, Ansgar Gabrielsen, promotore della legge sulle quote di genere (40%) in vigore dal 2006. Uomo e conservatore, due dettagli non trascurabili per la piega che prese il dibattito nel paese e l'accoglienza della legge. Ci sarà stato chi avrà posto dei dubbi sulle donne che sarebbero entrate nei cda.
È successo in Spagna, dopo la legge del 2007, che prevede una quota di genere al 40% in otto anni: in tanti puntarono il dito sulle "figlie di" come Sabina Fluxá, Ana Patricia Botín o le sorelle Koplovitz nei cda di società partecipate dalle loro famiglie. Non altrettanto scandalo fecero le nomine dello stesso Botín padre che sostituì il nonno o di José Manuel Entrecanales, famosi "figli di".
L'impressione è che quando si tratta di donne si tende ad alzare l'asticella prima che saltino. La Sda Bocconi ha confrontato i cv dei membri dei cda con quelli di selezionate professioniste: queste ultime hanno un livello d'istruzione più alto e contano esperienze in diverse aziende come gli uomini. Titoli che riescono a far valere in altri settori, come nelle professioni cui si accede per concorso. Lì sì che le donne aggirano le barriere e arrivano a conquistare una posizione. Una proposta: mettiamo le poltrone dei board a concorso? Al di là della boutade, in Italia la commissione Finanze della Camera ha approvato il progetto di legge Golfo-Mosca (una della maggioranza, l'altra dell'opposizione). Tocca al governo dare parere positivo perché la proposta approdi al Senato senza passare alla Camera. Sarà la soluzione alle discriminazioni? Tutt'altro. Che esistano barriere per le donne è certificato da Ue, Ocse e Wef. Siamo in grado di abbatterle con un cambio culturale? Se fosse così non si moltiplicherebbero i ddl: dalla tassazione differenziata del lavoro femminile alle detrazioni per le famiglie, dal congedo parentale obbligatorio per gli uomini alla conciliazione cura-lavoro. Se le quote di genere fanno tanto clamore, figuriamoci i ddl che puntano a riequilibrare i carichi di lavori domestici fra mogli e mariti per permettere alle donne di poter avere tempo ed energie per la carriera.
«Il Sole 24 Ore» del 30 settembre 2010

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