21 settembre 2010

L'anagrafe degli studenti serve. Chi invoca la privacy cerca alibi

di Andrea Ichino
«Il ministro Gelmini viola la privacy dei minori istituendo l'anagrafe nazionale degli studenti per combattere l'abbandono scolastico». Così ha affermato il 9 agosto la responsabile Scuola del Pd Francesca Puglisi, preoccupata dal decreto (74/2010) con cui il ministero ha creato le basi di uno strumento informativo di importanza fondamentale non solo per monitorare oggi l'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione, ma soprattutto per consentire domani una valutazione delle scuole e degli insegnanti che tenga conto del background sociale e familiare in cui si trovano a operare.
Ancora una volta, purtroppo, l'asprezza dello scontro politico impedisce alle parti di cooperare almeno per costruire quelle infrastrutture che non sono né di destra né di sinistra, ma serviranno al paese indipendentemente dal colore di chi lo governerà in futuro.
Nei più avanzati paesi europei, l'anagrafe nazionale degli studenti è una banca dati elettronica contenente la storia scolastica di ciascun studente (scuole frequentate, voti, esami), le caratteristiche di tutti i suoi insegnanti (formazione, carriera, assenze, retribuzioni) e la descrizione del contesto familiare e sociale circostante. Chi teme "Il grande fratello" rifletta sul fatto che in questi paesi una violazione della privacy comporta pene talmente severe da togliere la voglia di farlo a chi usa questi dati, e infatti non accade. Però all'estero queste banche dati esistono da tempo e hanno consentito ricerche di fondamentale importanza per conoscere meglio il funzionamento dei sistemi scolastici e disegnare riforme volte a migliorarli, soprattutto nell'interesse delle classi sociali più deboli. In Italia, invece, assistiamo continuamente a violazioni della privacy spesso impunite, senza nemmeno avere le banche dati necessarie per un dibattito di politica economica e sociale basato su fatti e non su principi ideologici a priori.
Quasi tutti, forse perfino la Cgil, ormai concordano sul fatto che un sistema nazionale di valutazione e supporto per le scuole e gli insegnanti sia necessario, non solo per consentire di premiare economicamente chi merita, ma anche per identificare le situazioni critiche dove è necessario intervenire in supporto.
È facile insegnare nelle scuole frequentate da studenti il cui contesto familiare e sociale fa già metà del lavoro. Se vogliamo poter aiutare e premiare l'insegnante "che va in trincea", abbiamo bisogno di un'anagrafe che consenta di abbinare le carriere scolastiche con informazioni sull'ambiente di origine degli alunni.
Inoltre, per misurare non i livelli ma i miglioramenti che un insegnante induce nei suoi studenti, dobbiamo conoscere la loro storia scolastica per poter confrontare punti di partenza e d'arrivo. E per decidere se premiare la "scuola per geni" che raggiunge l'eccellenza o la "scuola di Barbiana" che ferma i più bravi per non lasciare nessuno indietro, serve l'anagrafe: senza dati è una scelta che non potremo fare.
Sorprende quindi il preoccupato oscurantismo del Pd (e della Cgil) perché questa è proprio un'infrastruttura che a loro dovrebbe interessare, e a cui anzi dovrebbero collaborare perché prima o poi torneranno al governo. E i tempi sono stretti: l'anagrafe è solo agli albori e le difficoltà che la bloccano sono infinite. Innanzitutto la scarsa sensibilità e l'arretratezza tecnico informatica delle nostre amministrazioni pubbliche. Il ministero, ad esempio, nonostante il suo attuale impegno, non è ancora in grado di abbinare i risultati del test nazionale per l'ammissione a Medicina con la carriera scolastica precedente e successiva degli studenti.
Questo abbinamento consentirebbe di esaminare domande importanti: che corrispondenza c'è tra i test e il voto di maturità? Cosa predice meglio la performance universitaria: il test d'ingresso o i voti delle superiori? Cosa misurano i test standardizzati e servono davvero?
Ma una volta superate le difficoltà tecnico-informatiche dovremo anche operare affinché cambi la disciplina per la tutela della privacy ispirata dal presupposto secondo cui i ricercatori sono portati a usare i dati individuali in un modo che contrasta con la riservatezza. Al contrario, nei paesi più avanzati, l'atteggiamento è radicalmente diverso: consentire un accesso ai dati per la ricerca punendo duramente un eventuale uso contro improprio.
Questa è la logica che ispira un progetto di legge del 2003 di Nicola Rossi, che il Pd farebbe bene a rispolverare. Ed è la logica, del sito http://www.ipums.umn.edu dove si possono scaricare dati individuali dettagliati tratti dai censimenti Usa dal 1850 al 2000: invece delle complesse restrizioni e dei complicati formulari cartacei italiani, il sito americano invita semplicemente l'utente a usare le informazioni «for good, never for evil».
«Il Sole 24 Ore» del 21 settembre 2010

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