04 settembre 2010

La scuola non vale per i posti che offre; ma riforma è scegliere chi li merita

Cosa insegnano i precari
s. i. a.
"Nessun governo può assorbire duecentomila precari”, ha detto ieri Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione. Giusto, salvo verificare che i precari che rimarranno senza posto quest’anno scolastico saranno 20 mila, dieci volte meno. Non significa che il problema sia dieci volte inferiore, ma che per la guarigione definitiva della brutta piaga del precariato ci vorranno, tutto andando bene, almeno dieci anni. Tutto andando bene, cioè se verrà mantenuta una linea virtuosa, basata su un principio teorico giusto – la scuola non si misura da quanta gente occupa – e da uno più empirico, bisogna razionalizzare e puntare su un rapporto docente/numero di alunni compatibile con gli standard dei sistemi scolastici migliori. Inoltre, il posto fisso dovrebbe essere assegnato per concorso o selezione diretta (meglio) e non per anzianità di precariato.
Detto questo, 20 mila precari a spasso, che protestano anche con scioperi della fame, non possono essere trattati come inutili esuberi. E Gelmini non può limitarsi a invocare “non si strumentalizzi il disagio”. Anche perché moltissimi precari sono tra quei “bravi insegnanti che amano il loro lavoro sottostimato, sottopagato, sottovalutato” di cui ha scritto un’insegnante al Corriere, senza cui la scuola pubblica sarebbe fallita da decenni. Ma senza realismo, si finisce con le balle di Bersani quando dice “la questione scuola sarà al primo posto del nostro porta a porta”, dimenticando che i tagli di precari iniziò a farli il suo Beppe Fioroni.
«Il Foglio» del 3 settembre 2010

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