01 settembre 2010

La scienza è una cosa seria (basta non fare solo ideologia)

Le ignoranze e il sessismo del polemico Manconi
di Assuntina Morresi
Nel nostro Paese c’è un’area ideologica, quindi profondamente non laica, che tratta i temi della scienza con un atteggiamento decisamente antiscientifico. A volte si tratta di gente che di scienza dovrebbe saperne; più spesso invece sono persone clamorosamente incompetenti nel merito. In entrambi i casi, sono soggetti che si individuano facilmente per la loro incapacità di concludere un ragionamento senza cadere in contraddizione con se stessi.
Un esempio lampante di questo atteggiamento lo offre l’articolo con cui, ieri, Luigi Manconi – approfittando male dello spazio datogli dal ben altrimenti generoso "Foglio" –, avrebbe voluto criticare l’agenda bioetica di Sacconi, Fazio e Roccella ma, essendo a digiuno di argomenti fondati, è riuscito a confezionare solo uno sconclusionato e livoroso attacco personale. In questo caso, venato pure da uno sgradevole sessismo: la «giuliva petulanza» attribuita dal sociologo a una donna del governo è chiaramente frase che presuppone le donne oche (giulivo è aggettivo principe dell’ocaggine), e inutilmente ciarliere. Un lessico maligno che in uno come Manconi, formatosi in Lotta Continua e alfiere del politicamente corretto, colpisce più rudemente.
La sua pochezza argomentativa, invece, dimostra una profonda ignoranza sul tema. Eppure, da docente universitario, Manconi dovrebbe sapere che non tutti i progetti di ricerca sono finanziati, ma solo alcuni, e che i Paesi leader nella ricerca scientifica sono quelli in grado di capire e individuare quali siano i filoni più promettenti e più utili, per finanziarli preferenzialmente rispetto ad altri. Eppure, giulivamente ignaro di tutto ciò, il Nostro si chiede sdegnato se un governo possa o meno sostenere che una linea di ricerca è un ramo morto oppure no, e critica chi, nel governo, si è permesso di dire che la ricerca sulle staminali embrionali umane è agli sgoccioli.
Innanzitutto, il sociologo dovrebbe mettersi d’accordo con se stesso: nello stesso pezzo ricorda compiaciuto che l’amministrazione Obama ritiene utile questo tipo di studi. Per quale motivo il governo Usa può giudicare la ricerca scientifica, e quello italiano no? Forse perché Obama deve ringraziare i lobbisti che lo hanno sostenuto nella sua campagna elettorale, e che chiedono oggi finanziamenti federali proprio perché quelli privati ormai scarseggiano? Pare proprio che Manconi ancora non sappia che la ricerca sulle embrionali è stata abbandonata da tanti suoi sostenitori, a cominciare da Ian Wilmut, il creatore della pecora Dolly, già tre anni fa. La comunità scientifica mondiale ha rinunciato alla cosiddetta clonazione terapeutica, ricerca fallimentare che non ha prodotto una sola cellula staminale embrionale. L’interesse dei più è concentrato sulle iPS, staminali pluripotenti indotte.
Manconi dovrebbe leggere i lavori condotti sui topi – e non sugli embrioni umani – che hanno permesso di riprogrammare le cellule senza dover creare e distruggere embrioni. E d’altra parte, dovrebbe domandarsi come mai in diversi Stati – Gran Bretagna per esempio – gli embrioni umani non più richiesti dai genitori dopo un certo periodo vengono distrutti per legge, senza che un solo scienziato li reclami per il laboratorio. La verità – tragica ed eloquente – è che, oramai, degli embrioni «soprannumerari» nessuno sa più che farsene.
Manconi si rassegni: i governi devono esprimere politiche per indirizzare la ricerca, e guai se non lo facessero. Al di là delle preoccupazioni etiche, che nessuno ha mai nascosto, sarebbe fondamentale entrare correttamente nel merito, anche per chi ne commenta sui giornali: qualche lettura approfondita in più, e un po’ di arroganza in meno, non guasterebbero.
E sarebbe anche ora di aprire un confronto serio nel merito della ricerca scientifica e anche dell’agenda bioetica: potremmo parlare, per esempio, della Ru486, e delle morti di cui gli alfieri della tecnoscienza hanno accuratamente taciuto. Manconi compreso.
«Avvenire» del 1 settembre 2010

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