01 settembre 2010

Italia e cesareo: lasciateci decidere come far nascere i nostri bambini

di Maddalena Loy
Una mattina Laura Salpietro, giovane, sana e felice, va in ospedale per partorire il suo primo figlio. Il marito l’accompagna e le tiene la mano: tra poche ore stringeranno fra le braccia il loro bambino, un bambino sano, dopo averlo atteso per nove lunghi mesi, passati ad immaginare il suo volto e a fantasticare sul suo futuro.
Succede che Laura viene ricoverata e i due medici che l’assistono – tali Vincenzo Benedetto e Antonio De Vivo - si prendono a botte in sala pre-parto. Alla donna viene asportato l’utero: non potrà più avere figli. Il bambino è ancora in gravi condizioni e soltanto fra due anni si saprà se l’ignobile colluttazione dei due operatori sanitari durante il parto ha, in un modo o nell’altro, pregiudicato la sua esistenza.
Non parliamo della vergogna di vivere in un Paese dove gli interessi e le beghe personali si sono impunemente infiltrati nel servizio pubblico a tal punto da condizionare per sempre la vita di persone innocenti. Parliamo invece del motivo della rissa: parto cesareo o parto naturale.
Laura aveva avuto una gravidanza serena. Il suo quadro clinico e i monitoraggi del feto nelle ultime settimane lasciavano supporre che avrebbe potuto dare alla luce suo figlio attraverso parto spontaneo. Non serve un manuale di medicina per sapere che il parto cesareo deve essere effettuato se persistono due precise condizioni: o perché è programmato – il medico riscontra le condizioni per effettuale il taglio, ad esempio se il feto è in posizione podalica – o perché è urgente: il più classico dei casi è il cordone ombelicale avvolto intorno al feto. In tal caso il taglio cesareo non è un’opzione ma quasi un obbligo, su cui c’è poco da discutere. In Italia invece può avvenire che soi-disant medici si prendono a botte su cesareo o naturale a prescindere dalle condizioni della mamma e del bambino. O meglio: per altri motivi che nulla hanno a che vedere rispetto alle due premesse che regolano l’applicazione di questa procedura.
Le statistiche degli ultimi anni descrivono una situazione sconcertante: in Italia i parti con taglio cesareo sono passati dall’11% del 1980 al 38% (sì, avete letto bene: trentottopercento!) del 2008, la più alta percentuale a livello europeo e forse mondiale. Negli altri Paesi si registrano valori inferiori al 30%, che si abbassano al 15% in Olanda e al 14% in Slovenia.
Il motivo per cui gli italiani si credono più intelligenti degli altri nel trovare scorciatoie persino nella gestione delle nascite non è soltanto economico. Sicuramente gli onorari che percepisce un ginecologo che effettua taglio cesareo sono più alti rispetto a chi assiste una donna in parto spontaneo. Le assicurazioni mediche, per fare un esempio, rimborsano i parti cesarei concedendo circa 2mila euro in più in caso di cesareo rispetto al parto naturale.
Ma ci sono altri elementi che fan sì che ciò che soltanto quarant’anni fa rappresentava un’eccezione, sia ormai diventata prassi: i rischi, il tempo e la comodità. Non della donna, ma del medico.
Il medico rischia meno a fare un’incisione piuttosto che ad assistere una donna anche per ventiquattro ore in sala travaglio. E poi: il parto cesareo dura mezz’ora, al massimo 45 minuti se praticato da medici più inesperti; un parto spontaneo, tra rottura delle acque, travaglio e nascita, può durare poche ore, ma anche un giorno. Infine, vogliamo mettere la comodità di fissare un parto il lunedì alle due del pomeriggio, rispetto alla noia di essere chiamati nel cuore della notte da una paziente che ha le doglie?
Le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che l’abuso dei cesarei non ha migliorato gli esiti perinatali per le donne e i neonati. Al contrario: le regioni con una media più bassa di cesarei hanno una mortalità perinatale e una morbilità neonatale inferiore rispetto alle regioni a più alto tasso di cesarei. Senza contare che il parto cesareo costa e incide economicamente di più rispetto a quello spontaneo. Sarà un caso che in Italia ci sono più cesarei nelle cliniche private che negli ospedali pubblici?
Al di là delle rilevazioni ufficiali, non servono tabelle e statistiche per capire che, laddove le condizioni lo consentano, è sicuramente più “sano” per ogni donna veder nascere naturalmente il proprio bambino, ad eccezione di quelle che chiedono e vogliono il cesareo: scelta rispettabilissima proprio perché non condizionata dagli interessi personali del medico curante, bensì dalla precisa volontà della mamma.
Sempre più donne in Italia vengono convinte dai propri ginecologi, già nei primi mesi della gravidanza e indipendentemente dalle reali condizioni del feto, che il parto cesareo allontana ogni rischio ed è più “sicuro”. E' in atto in Italia un vero e proprio lavaggio del cervello, programmato e a tavolino, delle gestanti. La giustificazione più diffusa che adducono i medici è che è meglio fare un cesareo programmato rispetto a un cesareo d’urgenza. “Ma perché dovrebbe capitare proprio a me di dover fare un cesareo d’urgenza?”, osa obiettare qualche mamma. “Non si sa mai – è la risposta del medico – al momento dell’espulsione del feto può succedere di tutto e allora è meglio non rischiare”. Naturale che una motivazione di questo genere non può non far breccia nella stragrande maggioranza delle donne, soprattutto primipare, che affrontano la gravidanza. E per le quali il medico curante non è soltanto un ginecologo ma anche uno psicologo, cui si affidano completamente nel momento più delicato e importante della loro vita.
Le osservazioni del ministro della Salute Ferruccio Fazio – che, visitando Laura Salpietro ha rilevato (era ora!) che l’Italia conta un numero esorbitante di tagli cesarei, ci induce a a chiedere al governo di fare qualcosa per interrompere il business dei cesarei. Si condannino i medici che abusano di questa pratica. Si coinvolgano e siano premiate le strutture che incoraggiano il parto spontaneo. E, soprattutto, si educhino le mamme a ragionare con la propria testa e a decidere come far nascere i loro figli, senza subire le pressioni e i condizionamenti di medici senza scrupoli e senza cuore.
«L’Unità» del 30 agosto 2010

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