12 settembre 2010

Il Corano, il giubbotto e le idee da bruciare

di Gianni Riotta
Che cosa hanno in comune Terry Jones, il reverendo americano che voleva bruciare il Corano e Rubina Affronte, la militante autonoma che a Torino ha bruciato il giubbotto del segretario Cisl Bonanni? Nulla, a prima vista. Se metteste i due aspiranti piromani a confronto in una stanza farebbero scintille. Il pastore fondamentalista di Gainesville, città di football e Gatorade, adoratore del Dio degli Eserciti, contro la studentessa di psicologia, figlia di un magistrato, che considera Pd e sindacato Giuda e i fumosi dibattiti li stronca con un acre fumogeno.
Eppure, dietro la confusione delle idee, Terry e Rubina sono identici: maschere del nostro presente rancoroso e perciò lodati da chi segue a destra Rush Limbaugh e Glenn Beck, a sinistra Grillo e Indymedia. Poca logica, dialettica buoni contro cattivi da fumettone, furbizia nell'usare i media per dare risalto a posizioni marginali. Non sottovalutate il rancore anti Islam di Terry e la foga anti sindacale di Rubina, perché la comunicazione politica della nostra prossima stagione rischierà il coma per questa sindrome. Il male travestito da bene, la menzogna mascherata da verità, la violenza giustificata dalla propaganda, l'ignoranza con il cerone della cultura.
E la ragnatela di telecamere, Skype, blogs, talk show, Facebook e twitter rilancia gli episodi, ovunque nel mondo. Il presidente Obama deve dedicare la vigilia del nono anniversario dell'undici settembre a disinnescare la mina Jones, e subito dopo un altro “reverendo”, geloso della popolarità del collega, dichiara: «Brucio io il Corano». Nei commenti – ahimé tutti anonimi – all'apprendista psicologa neo incendiaria Affronte, tantissimi rivendicano il gesto, criticandola per non aver fatto di peggio.
Scorati, Michele Serra (Repubblica) e Mario Calabresi (La Stampa) si interrogano sul prevalere dell'”idiota”, poche idee e tanta tracotanza a caccia di notorietà. Meglio tacere? Meglio censurare? Come reagire? Se ne discusse già nei tempi duri del terrorismo e anche allora le menti migliori (quanto poche a ricontarle oggi!), con umiltà, pazienza e fiducia nella ragione, conclusero che la sola medicina è discutere, informare, per recidere le cause profonde che nutrono l'odio e il rancore dei Terry e delle Rubine.
Internet e la tv a ciclo continuo sono diventate il fumogeno globale di minoranze astiose, che speculano sulle difficoltà del presente non per risolverne i guai, ma per giustificare la propria esistenza. Ieri sul New York Times Samuel Freedman ha ricordato le sessanta vittime dell'11 settembre fedeli alla religione islamica, i sopravvissuti come Sinclair Hejazi Abdus-Salaam che ricordano lo spazio di preghiera nella Torre Sud, i Salam Aleikum scambiati negli ascensori con i correligionari. Bruciare il Corano offende queste memorie e rende più faticoso, come scrive Karima Moual, l'esame di coscienza della umma davanti al fondamentalismo. Il candelotto contro Bonanni, come tutti i rauchi slogan che ormai sporcano ogni dibattito, non è la parabola del nobile dissenso contro Casta e Cricca, è la sola opposizione che Casta e Cricca desiderano, l'unica che li terrà incollati al potere. Comici chiassosi, giornalisti biliosi, estremisti snob, violenti d'accatto non metteranno mai in crisi la coalizione di centro-destra, e anzi daranno ai suoi propagandisti peggiori scuse per schivare i problemi seri: la crisi economica cioè.
Terry Jones e Rubina Affronte sono maschere, speculano su una crisi che i nostri leader non sanno fronteggiare, anche parlando all'opinione pubblica con franchezza e onestà. Tre anni fa 500mila dollari, i risparmi di una vita, investiti in certificati del tesoro a 12 mesi, avrebbero fruttato 26.250 dollari l'anno (circa 21.500 euro) e, con la pensione della Social Security, avrebbero permesso una vita serena a tanti americani. Oggi, con il crollo dei tassi a 1,5%, quei certificati rendono solo 7.500 dollari (6.250 euro): non ci si va in pensione, e c'è da accontentarsi se si ha ancora un lavoro.
L'insicurezza è fortissima in America e radica il disappunto dei Tea Party che circonda il giovane presidente Obama, analizzata per noi da Moisés Naím. Anche in Europa il grande freddo seguito alla crisi, la delusione nell'Unione, il ritorno dei nazionalismi, radicano populismo. La rete sociale europea difende dalla disoccupazione “all'americana”, ma l'ansia sociale si dilata. Su Panorama il sociologo Luca Ricolfi calcola che nonni e padri italiani hanno risparmiato la più pingue ricchezza del mondo occidentale per le future generazioni e attribuisce a questo fenomeno la “mollezza” dei giovani italiani, i “bamboccioni”. È vero che il tesoretto sociale tricolore non ha uguali, ma non genera rilassatezza, anzi frustra padri e madri che vedono i figli senza lavoro, e umilia i figli, innescando tensioni e localismi.
Ogni paese ha le sue pozze di rancore, il sogno americano perduto, la dolce vita italiana dimenticata, in Francia l'inanità di Sarkozy che si sfoga con i rom, in Germania l'astio per i greci e i turchi da “mantenere”, in Belgio fiamminghi contro valloni, in Olanda il mito della tolleranza illuminista e l'Islam. Nei paesi islamici si detesta il progresso che neppure il petrolio ha assicurato grazie ai Gheddafi, gli emiri, gli ayatollah. Ovunque crisi economica, paura del futuro, l'astio per gli emigranti seminano odio. E ovunque ci saranno ipocriti pastori di anime, ovunque si alzeranno figlie di papà assatanate, per impedire il dialogo. Sui media, il populismo fa più soldi della ragione, e in nessun paese andrà peggio che in Italia e negli Usa (bastano un computer e un'edicola per confermare). Come sempre però, occorre affidarsi al dialogo e all'analisi, cuore, cervello e anima, creare ricchezza e non dimenticare i poveri, respingendo la tentazione di cedere ai violenti. La crisi economica sarà ancora lunga e tormentosa, mentre tanti Pierini litigheranno davanti ai numeri: occhio piuttosto alla coda di veleno che si lascerà dietro, sarà alla fine il nemico principale.
«Il Sole 24 Ore» del 12 settembre 2010

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