09 settembre 2010

I distributori automatici? Li inventò Erone d’Alessandria

di Vittorio Marchis
Nell’ultimo numero di Wired Alessandro Ba­ricco, con un’inven­zione letteraria, immagina di completare nel 2026 il suo scritto sui Barbari, datato 2006. E scrive(rà): «Il concet­to di profondità, la pratica della profondità, la passione per la profondità. Forse qualcuno se li ricorda, erano animali ancora in forma, ai tempi dei Barbari. Li alimen­tava l’ostinata convinzione che il senso delle cose fosse collocato in una cella segre­ta, al riparo dalle più facili e­videnze, con­servato nel freezer di una oscurità remota, accessibile solo alla pazienza, alla fatica, all’indagine ostinata. Le cose erano alberi – se ne sondava­no le radici». E va da sé che, per chi guarda alla sostenibi­le pesantezza dell’hardware, profondità e superficialità non sono concetti astratti, che vivono nel mondo delle idee ma assolutamente con­creti, perché una cosa profonda è dotata di tre di­mensioni: larghezza, altezza e appunto «profondità».
Mentre ciò che resta superfi­ciale mantiene le sue due di­mensioni sole solette, proprio come nella Flatlandia di Edwin A. Abbott. Ma lascian­do da parte questo racconto fantastico datato 1884 (lo si può trovare facilmente in in­ternet), superficiali sono le immagini che appaiono su uno schermo (più o meno piatto) anche se ci vengono inviate con le più avveniristi­che tecnologie 3D. Ma le co­se, e le macchine che delle cose sono la più naturale e­voluzione, pretendono la profondità perché altrimenti la loro esistenza svanisce, e con essa la meccanica.
Ora, in una società superfi­ciale, ci sono ancora luoghi dove possiamo ancora trova­re e curiosare, la profondità delle cose, più o meno gratis. I distributori di bevande o merendine ne sono un otti­mo esempio, da scoprire e da studiare. Perché come potrebbero esistere se ci propi­nassero soltanto brioche o lattine in 2D? Non solo nelle stazioni ma ormai diffuse capillarmente nei centri commerciali come nei bassi delle metropoli, i distributori automatici accettano profondamente pesanti mo­netine e si mettono in moto.
È vero, anche qui impera l’e­lettronica: «selezionare il prodotto', «introdurre l’importo», «ritirare il resto»… sono segnali, ma poi? Una spirale metallica si mette a ruotare e trascina visibil­mente lungo la terza dimen­sione, che dal profondo della macchina avanza verso il cliente il prodotto prescelto.
Poi un tonfo, e la cosa cade nel cestello che ora accetta l’introduzione di una mano pronta a ghermire finalmen­te il «prodotto». Sembrano prodigi della tecnica ma la loro origine è assai lontana e i distributori di acqua «san­ta» già funzionavano al tem­po di Erone Alessandrino. Il peso di una monetina mette­va in moto un meccanismo che dispensava al richieden­te un tot di liquido. Siamo probabilmente nel primo secolo dell’era cristiana, ma non si hanno dati certi sulla sua biografia, ed Erone, oltre ad essere un illustre mate­matico, passò alla storia per due libri, Gli Spiritali e Gli Automati, che sono diventati i capostipiti della letteratura tecnica in materia di mac­chine automatiche, di auto­mi e altri congegni. Come sempre però i veri distribu­tori automatici trovarono so­lo dopo la rivoluzione indu­striale i contesti favorevoli per un proprio insediamento diffuso nella società, che proprio in virtù delle loro funzioni diventò «società dei consumi». Come sempre bi­sogna aggiornarsi e persino i 'dispenser' di asciugamani in rotoli ogni giorno trovano nuovi inventori e innovatori.
Il sito «Design Decision Wiki» propone un ampio e dettagliato progetto su un Paper towel dispenser, illu­strandone anche il conto e­conomico dei vantaggi, at­traverso un confronto con i migliori prodotti del settore.
Sempre è indispensabile la profondità, perché altrimen­ti si cade dall’altra parte del­lo schermo, come in Camera Café.
«Avvenire» del 9 settembre 2010

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