18 settembre 2010

«Dall’alleanza fede-ragione un’etica per la democrazia»

Pubblichiamo il testo integrale del discorso pronunciato ieri pomerig­gio da Benedetto XVI nella Westmin­ster Hall di Londra all’incontro con gli esponenti della società civile, del mondo accademico, culturale e im­prenditoriale, con il corpo diploma­tico e con i leader religiosi
di Benedetto XVI
Signor presidente, la ringrazio per le parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome di questa distinta assemblea. Nel rivolgermi a voi, sono consapevole del privilegio che mi è concesso di parlare al po­polo britannico e ai suoi rappresen­tanti nella Westminster Hall, un edi­ficio che ha un significato unico nel­la storia civile e politica degli abitanti di queste Isole.
Permettetemi di manifestare la mia stima per il Parlamento, che da se­coli ha sede in questo luogo e che ha avuto un’influenza così profonda sullo sviluppo di forme di governo partecipative nel mondo, special­mente nel Commonwealth e più in generale nei Paesi di lingua inglese. La vostra tradizione di «common law» costituisce la base del sistema legale in molte nazioni, e la vostra particolare visione dei rispettivi di­ritti e doveri dello Stato e del singo­lo cittadino, e della separazione dei poteri, rimane come fonte di ispira­zione per molti nel mondo.
Mentre parlo a voi in questo luogo storico, penso agli in­numerevoli uomini e don­ne che lungo i secoli hanno svolto la loro parte in importanti eventi che hanno avuto luogo tra queste mura e hanno segnato la vita di molte ge­nerazione di britannici e di altri po­poli.
In particolare, vorrei ricordare la fi­gura di san Tommaso Moro, il gran­de studioso e statista inglese, am­mirato da credenti e non credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano, di cui era «buon servitore», poiché a­veva scelto di servire Dio per primo. Il dilemma con cui Tommaso Moro si confrontava, in quei tempi diffici­li, la perenne questione del rappor­to tra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio, mi offre l’oppor­tunità di riflettere brevemente con voi sul giusto posto che il credo reli­gioso mantiene nel processo politi­co.
La tradizione parlamentare di questo Paese deve molto al senso istintivo di moderazione presente nella nazione, al desiderio di raggiungere un giusto equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello Stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti. Se da un lato, nella vo­stra storia, sono stati compiuti a più riprese dei passi decisivi per porre dei limiti all’esercizio del potere, dal­l’altro le istituzioni politiche della nazione sono state in grado di evol­vere all’interno di un notevole gra­do di stabilità. In tale processo storico, la Gran Bre­tagna è emersa come una democra­zia pluralista, che attribuisce un grande valore alla libertà di espres­sione, alla libertà di affiliazione po­litica e al rispetto dello Stato di dirit­to, con un forte senso dei diritti e do­veri dei singoli, e dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. La dottrina sociale cattolica, pur for­mulata in un linguaggio diverso, ha molto in comune con un tale ap­proccio, se si considera la sua fon­damentale preoccupazione per la salvaguardia della dignità di ogni singola persona, creata ad immagi­ne e somiglianza di Dio, e la sua sot­tolineatura del dovere delle autorità civili di promuovere il bene comune. E , in verità, le questioni di fon­do che furono in gioco nel pro­cesso contro Tommaso Moro continuano a presentarsi, in termi­ni sempre nuovi, con il mutare del­le condizioni sociali. Ogni genera­zione, mentre cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi sem­pre di nuovo: quali sono le esigenze che i governi possono ragionevol­mente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali?
Queste questioni ci portano diretta­mente ai fondamenti etici del di­scorso civile. Se i principi morali che sostengono il processo democrati­co non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul con­senso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua e­videnza. Qui si trova la reale sfida per la democrazia.
L'inadeguatezza di soluzioni pragmatiche, di breve ter­mine, ai complessi proble­mi sociali ed etici è stata messa in tutta evidenza dalla recente crisi fi­nanziaria globale. Vi è un vasto con­senso sul fatto che la mancanza di un solido fondamento etico dell’attività economica abbia contribuito a crea­re la situazione di grave difficoltà nel­la quale si trovano ora milioni di per­sone nel mondo. Così come «ogni decisione economica ha una conse­guenza di carattere morale» (Caritas in veritate, 37 ), analogamente, nel campo politico, la dimensione mo­rale delle politiche attuate ha con­seguenze di vasto raggio, che nessun governo può permettersi di ignora­re.
Una positiva esemplificazione di ciò si può trovare in una delle conquiste particolarmente rimarchevoli del Parlamento britannico: l’abolizione del commercio degli schiavi. La campagna che portò a questa legi­slazione epocale, si basò su principi morali solidi, fondati sulla legge na­turale, e ha costituito un contributo alla civilizzazione di cui questa na­zione può essere giustamente orgo­gliosa.
La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fonda­mento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ra­gione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religio­ne nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciu­te dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politi­che concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della reli­gione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’appli­cazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi.
Non emarginate il cristianesimo: il Pontefice è preoccupato per la «crescente marginalizzazione della religione, quella cristiana in particolare», in nazioni che hanno il culto della tolleranza. C’è chi si oppone «alla celebrazione pubblica del Natale», chi chiede «di relegare nel privato la fede». Ma la religione «per il legislatore è risorsa, non problema»
Questo ruolo «correttivo» della reli­gione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accol­to, in parte poiché delle forme di­storte di religione, come il settari­smo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali. E, a loro volta, que­ste distorsioni della religione emer­gono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo puri­ficatore e strutturante della ragione all’interno della religione. È un pro­cesso che funziona nel doppio sen­so.
Senza il correttivo fornito dalla reli­gione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come av­viene quando essa è manipolata dal­l’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto piena­mente della dignità della persona u­mana. Fu questo uso distorto della ragione, in fin dei conti, che diede o­rigine al commercio degli schiavi e poi a molti altri mali sociali, non da ultimo le ideologie totalitarie del ventesimo secolo. Per questo vorrei suggerire che il mondo della ragio­ne ed il mondo della fede – il mon­do della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non do­vrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà.
La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al di­battito pubblico nella nazione. In ta­le contesto, non posso che esprime­re la mia preoccupazione di fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del cri­stianesimo, che sta prendendo pie­de in alcuni ambienti, anche in na­zioni che attribuiscono alla tolle­ranza un grande valore.
Vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe mes­sa a tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata. Vi sono al­cuni che sostengono che la celebra­zione pubblica di festività come il Natale andrebbe scoraggiata, se­condo la discutibile convinzione che essa potrebbe in qualche modo of­fendere coloro che appartengono ad altre religioni o a nessuna. E vi sono altri ancora che – paradossalmente con lo scopo di eliminare le discri­minazioni – ritengono che i cristia­ni che rivestono cariche pubbliche dovrebbero, in determinati casi, a­gire contro la propria coscienza. Questi sono segni preoccupanti del­l’incapacità di tenere nel giusto con­to non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della reli­gione nella sfera pubblica. Vorrei pertanto invitare tutti voi, ciascuno nelle rispettive sfere di influenza, a cercare vie per promuovere ed inco­raggiare il dialogo tra fede e ragione ad ogni livello della vita nazionale.
La vostra disponibilità in que­sto senso si è già manifestata nell’invito senza precedenti che mi avete rivolto oggi, e trova e­spressione in quei settori di interes­se nei quali il vostro Governo si è im­pegnato insieme alla Santa Sede.
Nel campo della pace, vi sono stati degli scambi circa l’elaborazione di un trattato internazionale sul com­mercio di armi; circa i diritti umani, la Santa Sede e il Regno Unito han­no visto positivamente il diffonder­si della democrazia, specialmente negli ultimi 65 anni; nel campo del­lo sviluppo, vi è stata collaborazione nella remissione del debito, nel com­mercio equo e nel finanziamento al­lo sviluppo, in particolare attraver­so la International Finance Facility, l’International Immunization Bond e l’Advanced Market Commitment.
La Santa Sede è inoltre desiderosa di ricercare, con il Regno Unito, nuove strade per promuovere la re­sponsabilità ambientale, a benefi­cio di tutti. Noto inoltre che l’attuale Go­verno si è impegnato a de­volvere entro il 2013 lo 0,7% del reddito nazionale in favore degli aiuti allo sviluppo. È stato incorag­giante, negli ultimi anni, notare i se­gni positivi di una crescita della so­lidarietà verso i poveri che riguarda tutto il mondo. Ma per tradurre que­sta solidarietà in azione effettiva c’è bisogno di idee nuove, che migliori­no le condizioni di vita in aree im­portanti quali la produzione del ci­bo, la pulizia dell’acqua, la creazio­ne di posti di lavoro, la formazione, l’aiuto alle famiglie, specialmente dei migranti, e i servizi sanitari di base. Quando è in gioco la vita umana, il tempo si fa sempre breve: in verità, il mondo è stato testimone delle va­ste risorse che i governi sono in gra­do di raccogliere per salvare istitu­zioni finanziarie ritenute «troppo grandi per fallire». Certamente lo svi­luppo integrale dei popoli della ter­ra non è meno importante: è un’im­presa degna dell’attenzione del mondo, veramente «troppo grande per fallire».
Nuove idee contro la povertà: molti i campi di collaborazione fra Londra e la Santa Sede come il contrasto al traffico delle armi, il commercio equo, la remissione del debito. Poi l’appello: servono idee nuove per lo sviluppo. E risorse adeguate: sono state trovate per salvare le istituzioni finanziarie, si trovino anche per i poveri del pianeta

Questo sguardo generale alla cooperazione recente tra Regno Unito e Santa Sede mostra bene quanto pro­gresso sia stato fatto negli anni tra­scorsi dallo stabilimento di relazio­ni diplomatiche bilaterali, in favore della promozione nel mondo dei molti valori di fondo che condivi­diamo. Spero e prego che questa re­lazione continuerà a portare frutto e che si rifletterà in una crescente ac­cettazione della necessità di dialogo e rispetto, a tutti i livelli della società, tra il mondo della ragione ed il mon­do della fede. Sono certo che anche in questo Paese vi sono molti campi in cui la Chiesa e le pubbliche auto­rità possono lavorare insieme per il bene dei cittadini, in armonia con la storica pratica di questo Parlamen­to di invocare la guida dello Spirito su quanti cercano di migliorare le condizioni di vita di tutto il genere u­mano.
Affinché questa cooperazione sia possibile, le istituzioni religiose, comprese quelle legate alla Chiesa cattolica, devono essere libere di a­gire in accordo con i propri principi e le proprie specifiche convinzioni, basate sulla fede e sull’insegnamen­to ufficiale della Chiesa. In questo modo potranno essere garantiti quei diritti fondamentali, quali la libertà religiosa, la libertà di coscienza e la libertà di associazione. Gli angeli che ci guardano dalla magnifica volta di questa antica Sala ci ricordano la lunga tradizione da cui il Parlamen­to britannico si è sviluppato. Essi ci ricordano che Dio vigila costante­mente su di noi, per guidarci e pro­teggerci. Ed essi ci chiamano a rico­noscere il contributo vitale che il cre­do religioso ha reso e può continua­re a rendere alla vita della nazione.
Signor presidente, la ringrazio ancora per questa opportunità di rivolgermi brevemente a questo distinto uditorio. Mi permet­ta di assicurare a lei e al signor pre­sidente della Camera dei Lord i miei auguri e la mia costante preghiera per voi e per il fruttuoso lavoro di en­trambe le Camere di questo antico Parlamento. Grazie, e Dio vi benedi­ca tutti!
«Avvenire» del 18 settembre 2010

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