12 settembre 2010

Ascolti la lode a Bresci e capisci: il relativismo disorienta e stordisce

L'assassinio anarchico (o terroristico) non è patriotico né etico
di Francesco D'Agostino
In un contesto pubblico, l’attore e regista Ascanio Celestini è tornato ad esaltare la figura di Gaetano Bresci, l’anarchico che assassinò re Umberto I, definendolo un «patriota». Vale la pena rifletterci sopra? Non ci sono state reazioni particolari a questa 'provocazione'; non tutti i giornali hanno ripreso la notizia; un illustre intellettuale, dopo aver sostenuto che la questione non va vista in termini «moralistici», l’ha reimpostata in termini relativistici, sostenendo che il giudizio storico cambia a seconda che si vedano gli eventi dalla parte dei vincitori o dalla parte dei vinti: è un dato di fatto che i monarchici considerino Bresci un assassino e che gli anarchici lo ritengano piuttosto un patriota.
Andiamo però al di là dei dati di fatto: è 'giusto' ritenere Bresci un patriota? Non lo è, né storicamente, né politicamente, né soprattutto eticamente (con buona pace di quelli che pensano che restare saldamente ancorati alla morale implichi sempre e comunque cadere nel moralismo).
Bresci non è stato un patriota né storicamente, né politicamente.
Merita di essere qualificato dagli storici e lodato dai politici come patriota non chiunque si ritenga soggettivamente tale, ma chi agisca oggettivamente per il bene della propria patria (altrimenti, per esempio, dovremmo ritenere patrioti tutti gli squadristi fascisti). Ora, nessun anarchico – e quindi nemmeno Bresci – ha mai agito davvero per il bene del suo Paese. Nella loro ottusità, gli anarchici ritenevano che potesse giovare alla libertà del popolo uccidere un re, un presidente, un imperatore (o un’imperatrice, come la povera Sissi, colpevole solo di essere la moglie di Francesco Giuseppe d’Austria).
Così non è mai stato. I sistemi sociali moderni, nella loro estrema complessità, non possono essere abbattuti o modificati commettendo un tirannicidio (come ritenevano, peraltro a torto, anche alcuni gesuiti agli inizi dell’età moderna).
È stato necessario che fosse versato molto sangue, prima che l’anarchismo arrivasse a capire questa elementare verità e abbandonasse la pratica dell’omicidio politico.
Si potrà però sostenere che, almeno da un punto di vista etico, Bresci sia stato un vero patriota, fermo, coerente, risoluto?
Per un relativista la risposta non potrà che essere affermativa; ogni persona (quindi anche Bresci) avrebbe una sua etica, insindacabile, che nessuno sarebbe legittimato né a lodare né a criticare; al più si potrebbe lodare la coerenza con la quale una persona pone in essere quello che la sua etica gli detta interiormente. Bresci, come anarchico, si sarebbe comportato in modo assolutamente coerente con i suoi 'valori', quindi meriterebbe comunque attenzione e rispetto. Questo è un sofisma, che si smonta facilmente: chi lo condivide, privandosi di ogni possibilità di distinguere un uomo sinceramente etico da un fanatico, dovrebbe per coerenza arrivare a lodare come soggetti morali un Hitler o uno Stalin.
Ridurre l’etica a coerenza astratta è un’assurdità. L’etica chiede bontà, riflessione, dialogo, mitezza, sopportazione, capacità di mettersi in gioco, di vedere la realtà con gli occhi degli altri; può richiedere anche capacità di indignazione e in casi estremi un impegno di lotta, ma mai potrà cedere alla crudeltà, al disprezzo cieco per il nemico, all’indifferenza per le sofferenze altrui.
Non c’è mai stata in passato eticità, né patriottismo, negli attentati degli anarchici, come non c’è oggi eticità né patriottismo nella prassi dei terroristi. Che sia necessario ribadire queste verità assolutamente elementari è un triste esempio di quanto il relativismo stia divenendo pervasivo e non può che destare preoccupazioni profonde.
L’etica chiede bontà, riflessione, dialogo, mitezza, mai potrà cedere alla crudeltà, al disprezzo cieco per il nemico
«Avvenire» del 12 settembre 2010

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