16 luglio 2010

Perché l'Italia è formica solo quando la crisi stringe

di Pietro Reichlin
La crisi del 2008 ha mostrato che il sistema finanziario ha due facce: da una parte rende l'economia più efficiente, genera sviluppo e maggiori opportunità per tutti, dall'altra può produrre crisi sistemiche e instabilità.
I paesi dove la crescita dell'intermediazione, l'innovazione finanziaria e l'indebitamento del settore privato sono stati più rapidi, come il Regno Unito, l'Irlanda e la Spagna, hanno avuto una maggiore crescita economica.
Tuttavia, si è visto che lo scoppio della bolla immobiliare, pur avendo un impatto limitato al settore dei mutui ipotecari, ha generato un'ondata di vendite di attività finanziarie e una domanda di liquidità che ha, di fatto, bloccato i meccanismi di erogazione del credito. La vicenda è ormai nota ed è stata analizzata nel dettaglio. Le crisi di panico hanno colpito a più riprese i paesi emergenti negli anni 80 e 90. Questa volta sono stati colpiti i paesi industrializzati, e specialmente quei paesi in cui il debito privato si era basato sulla bolla immobiliare.
Una crescita eccessiva può quindi comportare maggiore instabilità? Questo è possibile. In effetti, se l'espansione del credito è sorretta da garanzie reali il cui valore riflette molto la congiuntura e le aspettative, si determina un'amplificazione del ciclo e una maggiore volatilità della crescita. Tuttavia, ciò che sorprende è che la crisi abbia colpito con pari gravità sia i paesi in cui la crescita del debito privato era stata più impetuosa, sia i paesi dove le famiglie e le imprese hanno un minore accesso al credito (ad esempio l'Italia).
Consideriamo le serie storiche e le stime dell'Fmi sulla crescita del Pil dal 1995 al 2014. L'Irlanda spicca tra i paesi Ocse per la volatilità del Pil. Tuttavia, questo primato è in gran parte giustificato dalla dimensione limitata del paese, dalla crescita eccezionale del Pil negli ultimi quindici anni prima della crisi e dall'apertura agli scambi internazionali. In questo lasso di tempo l'Italia vanterebbe una crescita media pari all'1% all'anno, contro l'1,7% medio di Spagna, Regno Unito e Usa, e una deviazione standard (volatilità) pari a 1,7, contro 1,8 di questo gruppo di paesi. In altre parole, per avere un guadagno di stabilità del 4% in più rispetto alla media, paghiamo un prezzo del 51% superiore alla media in termini di minore crescita. Davvero un prezzo salato.
La ragione per cui l'Italia non è riuscita a ripararsi dall'impatto della crisi mondiale è che siamo un paese molto orientato alle esportazioni (il settore nel quale operano le imprese più efficienti) e dipendiamo molto dalla domanda mondiale.
Ma vi è anche un altro motivo: l'assenza di politiche economiche anticicliche e la relativa inefficacia degli stabilizzatori automatici (pochi sussidi di disoccupazione e molte pensioni). Di fatto, mentre tutti gli altri paesi hanno una politica fiscale tendenzialmente anticlica (aumentano i disavanzi nelle recessioni e li riducono nelle espansioni), noi facciamo l'opposto.
Il disavanzo pubblico dell'Italia tra il 1995 e il 2007 (prima della crisi) è stato sistematicamente superiore a quello degli altri paesi più industrializzati, tranne poche eccezioni. Ad esempio, l'Irlanda ha avuto un avanzo medio dell'1,25% del Pil, il Regno Unito e l'Italia un disavanzo medio del 2 e del 3,4% rispettivamente. In altre parole, l'Italia è riuscita a contenere le spese, e a non ridurre di molto le entrate, solo dopo la crisi. E questo perché abbiamo deciso saggiamente di non aumentare ulteriormente il nostro già elevato debito pubblico. Cioè, siamo stati più virtuosi perché eravamo stati meno virtuosi nel passato.
Se vogliamo seguire la logica keynesiana, invece che compiacerci di questo risultato, dovremmo ringraziare i paesi che hanno fatto il lavoro sporco (lo stimolo fiscale) nel momento del bisogno, consentendo anche a noi di recuperare i benefici dell'aumento della domanda mondiale.
L'Fmi e la Bce sono giustamente preoccupati per la crescita del debito pubblico dei paesi industrializzati. Quanto costerà il riaggiustamento? Il calcolo è complesso perché vi sono diversi modi per effettuare un consolidamento fiscale. Tuttavia, se i tassi d'interesse rimarranno bassi, la cura avrà uno scarso impatto sul Pil dei paesi che hanno uno stock di debito pubblico contenuto.
In generale, un aumento dei disavanzi nelle recessioni e una loro riduzione nelle espansioni è una buona ricetta per aumentare il benessere sociale e aiutare la crescita economica.
«Il Sole 24 Ore» del 16 luglio 2010

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