26 luglio 2010

L'amore è come una droga: quando finisce si soffre davvero

Uno studio scopre gli effetti dell'abbandono sentimentale
di Cesare Peccarisi
Nel cervello gli stessi segnali della sindrome di astinenza. Chi è abbandonato prova disperazione e desiderio irrefrenabile, il cosiddetto craving
Attenzione ai facili amori estivi: se sono, come spesso accade, destinati a finire dopo le vacanze, rischiano di esporre i neo-innamorati a un’esperienza che, dal punto di vista neurochimico, non è tanto diversa da quella del tossicodipendente che resta senza la sua dose. Nel cervello di chi perde il suo oggetto d’amore, infatti, si accendono le medesime aree cerebrali coinvolte nella sindrome di astinenza da droga. L’hanno dimostrato i ricercatori dell’Università di New York e della Rutgers University del New Jersey diretti da Helen Fisher, utilizzando la risonanza magnetica funzionale in dieci uomini e cinque donne fra 18 e 21 anni, single da due mesi dopo un rapporto che durava da un paio d’anni e selezionati in base alla semplice domanda: «Ti ha lasciato/a e tu non riesci a far a meno di lui/lei?» La ricerca, pubblicata sul Journal of Neurophysiology, non vuole certo giustificare comportamenti estremi come lo stalking o la soppressione fisica di sé o dell’ex, ma potrebbe comunque aiutare a capire i meccanismi neurochimici che stanno alla base di questi fenomeni. Nello studio, i ricercatori hanno fatto compilare ai partecipanti la Passionate Love Scale (PLS), un test che valuta il grado di coinvolgimento amoroso e hanno poi utilizzato come stimolo una serie di fotografie. Mentre la risonanza fotografava l’attività dei circuiti cerebrali, ai soggetti venivano mostrate foto di ragazzi o ragazze simili ai loro ex, foto di personaggi noti e quelle dei loro partner. Quando vedevano l’ex, i partecipanti all’esperimento riferivano sentimenti d’amore, disperazione, ricordi belli e brutti, ma le aree che si accendevano nel loro cervello erano quelle notoriamente correlate al guadagno e alla perdita economica e quelle del desiderio intenso ed irrefrenabile, il cosiddetto «craving»: il tegmento e lo striato ventrali, la corteccia prefrontale e orbitofrontale e il giro cingolato. Queste aree, le stesse che si attivano nella sindrome d’astinenza, inoltre, restavano "accese" a lungo. Secondo i ricercatori, infatti, l’amante rifiutato continuerebbe a restare innamorato dell’ex, che in termini neuropsichici rappresenta la ricompensa al suo amore. Ma poiché questa tarda ad arrivare, i neuroni del sistema della ricompensa, gli stessi che si attivano con la droga, ma anche col cibo o le sigarette, prolungano la loro attività.
Commenta Donatella Marazziti del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Pisa, studiosa della neurobiologia dell’amore e autrice di importanti ricerche in questo settore: «Questo studio conferma ciò che Andreas Bartels, dell’University College di Londra, individuò per primo nel 2000 con la stessa tecnica, quando confrontò le aree cerebrali dell’innamoramento e dell’amicizia e ipotizzò una specializzazione funzionale corticale per gli stati affettivi, che rende l’amore unico e speciale». «Ma, come abbiamo appena scoperto con uno studio pubblicato sull’ultimo Physiology & Behaviour, - prosegue la specialista - nella donna lo stato ansioso legato alla rottura del rapporto amoroso ha motivazioni ancor più biologiche: la perdita del contatto con i feromoni del maschio. Questi feromoni hanno, infatti, su di lei un effetto anti-stress, che modifica la sua naturale impulsività e rafforza il suo attaccamento affettivo. È bastato mettere 100 nanolitri di estratto ascellare maschile fra narici e labbro superiore delle donne coinvolte nella nostra ricerca, per veder cambiare il loro atteggiamento nei confronti del rapporto d’amore: più sicure, meno timorose, più determinate. Contemporaneamente, si è riscontrata una variazione dei livelli del neurotrasmettitore serotonina. Si tratta di risultati preliminari su pochi soggetti, ma la caccia al feromone anti-abbandono amoroso è aperta».
«Corriere della Sera» del 25 luglio 2010

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