03 luglio 2010

Il tema non basta più: torniamo al riassunto

di Luca Serianni
Perché i ragazzi non sanno scrivere e che cosa si può fare per migliorarne le prestazioni? Serve a poco, e oltretutto ha scarso fondamento, lamentare la decadenza dei tempi o dare la responsabilità alla televisione o ai cellulari. Occorre partire dalla scuola, che è e resta il luogo d’elezione per l’apprendimento anche della lingua materna, almeno quando si vada un po’ oltre le duemila parole che bastano per la comunicazione quotidiana.
Come mostra il sondaggio dell’Invalsi, il settore relativamente meno disastrato è quello dell’ortografia: l’insistenza fin dalle elementari sull’uso di apostrofi e accenti e la sanzione sistematica di errori come «esiggere» o «consilio» ha prodotto qualche effetto. Ma la padronanza della lingua scritta - e ovviamente della lingua parlata che si cimenti in argomenti impegnativi - va ben oltre la soglia della correttezza ortografica. Bisogna dominare almeno tre sistemi complessi: prima di tutto, grammatica, sintassi e testualità (per esempio, usando i connettivi giusti: «perché» e «sicché» introducono diversi rapporti di causa-effetto; «infatti» e «dunque» non sono quasi mai intercambiabili); poi, è necessario disporre di un ventaglio lessicale ampio, che sappia sfruttare anche la connotazione ironica o polemica di un termine meno usuale («discettare» di un argomento non significa semplicemente discuterne, perché implica un leggero senso spregiativo e vuol dire trattarne con inutile ostentazione retorica oppure in modo astratto e fine a sé stesso); infine, occorre essere in grado di argomentare una tesi, scegliendo i dati pertinenti e articolando efficacemente il loro collegamento. Quest’ultimo requisito mostra come un adeguato dominio linguistico sia indispensabile anche per illustrare una dimostrazione scientifica.
Per avvicinarsi a questi obiettivi lo strumento fondamentale è costituito dalle prove scritte. Ma quali? Il tradizionale tema è forse la prova meno idonea. Poco utile allo scopo il tema orientato sul vissuto personale dell’alunno (l’amore, l’amicizia, il tempo libero...), privilegiato nella scuola media; tendenzialmente diseducativo il tema «d’attualità» che invita a parlare di un argomento impegnativo, per esempio l’inquinamento atmosferico, senza la necessaria documentazione scientifica: più che un tema si tratta di un discorso da ombrellone. Meglio rivalutare un esercizio tradizionale come il riassunto. Non esiste solo il riassunto del semplice testo narrativo, adatto alla scuola elementare; tutti i testi, anche su argomenti impegnativi - le pagine culturali e scientifiche di un grande quotidiano offrono esempi in abbondanza -, possono essere condensati. Fare un riassunto educa alcune abilità fondamentali: a) capire quel che si è letto; b) ricavare le informazioni indispensabili, gerarchizzando i nuclei informativi in relazione allo spazio disponibile, che andrebbe sempre predefinito; c) esercitare tutti i livelli della lingua, riformulando un testo dato.
Non è un lavoro facile, tutt’altro; credo che l’ostilità tradizionale verso questo genere di prova sia un portato del vecchio condizionamento idealistico per il quale la scrittura deve far emergere la personalità del singolo, esaltando la spontaneità dello scrivente. Ma le opinioni, almeno quando aspirano alla dignità di una prova scolastica, vanno educate: devono fondarsi su dati che possano essere discussi («falsificati», come si suol dire arieggiando Popper). E devono essere costruite a partire dalla padronanza dello strumento linguistico, che va modulato in una tastiera incomparabilmente più ampia di quella che adoperiamo abitualmente.
«La Stampa» del 30 giugno 2010

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