30 luglio 2010

Il Mare nostrum in un bicchiere

Dall’enologia del Neolitico a quella dei Galli tramite il «classico» nettare degli dei. Una rassegna su vino e Mediterraneo
di Massimo Centini
In vino veritas: e la verità è il luogo della bellezza, come ci conferma la mostra Vinum nostrum. Arte, scienza e miti del vino nelle civiltà del Mediterraneo antico, allestita a Firenze (fino al 15 maggio prossimo) nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti. Il catalogo della mostra (edito da Giunti) è curato da Giovanni Di Pasquale, Annamaria Ciarallo e Ernesto De Carolis.
Effettivamente questa rassegna ha il ruolo di porre in rilievo non solo gli aspetti eminentemente archeologici e antropologici del rapporto uomo/vino, ma ci consente di scorgere come il «nettare degli dei» sia stato un fondamentale catalizzatore all’interno del linguaggio artistico.
A Palazzo Pitti il compito di raccontare la nascita e la diffusione della coltura delle vite e della produ­zione del vino è affidata a tutta una serie di reperti, che sono il fil rouge di un viaggio nel mondo antico tra Vicino Oriente e baci­no del Mediterraneo.
L’archeologia ci informa che già nel Neolitico l’uo­mo ebbe modo di apprez­zare il prodotto della fer­mentazione dell’uva: qua­si certamente fu un effetto casuale, di cui non resta­no che flebili tracce in cocci di ceramica. Sarà poi nella civiltà ellenica che il vino troverà il pro­prio «luogo» di afferma­zione. Inoltre, il vino (e in un’altra misura l’olio) ha rappresentato uno dei se­gni di civiltà di una cultu­ra fiorita sulle sponde del Mediterraneo: quell’ine­briante bevanda aveva trovato in quei luoghi un proprio fertile territorio in cui le alchimie della vinifi­cazione erano giunte dalle terre a Est.
Seguendo un itinerario che è prevalentemente cronologico, la mostra traccia un racconto scan­dito dal sapere delle cul­ture in cui il vino ha occu­pato una posizione rile­vante, non solo dal punto di vista enologico; quindi sceglie di soffermarsi sulle implicazioni simboliche, che hanno il loro back­ground nel mito e nella religione.
Per la diffusione del vino svolsero un ruolo deter­minante fenici ed etru­schi, artefici della coltiva­zione della vitis vinifera nel Mediterraneo. Greci e eomani fecero il resto, portando il vino a emble­ma della cultura italica.
Un emblema ambito e in­vidiato: lo conferma il mai esausto mito dei galli che invadono l’Italia attirati dal vino, contro il quale nulla potevano sidro e i­dromele… A Firenze, per parlarci del­l’importanza del vino nel mondo antico, ci sono coppe e servizi da tavola, vetri e contenitori in me­tallo prezioso: oggetti spesso affini all’oreficeria di alto livello. Ma contri­buiscono a scandire la storia del vino oggetti d’u­so quotidiano, strumenti per la lavorazione e il tra­sporto delle uve, anfore e altri oggetti che la ricerca archeologica ha riportato alla luce. Materiali che, opportunamente studiati e correlati alle puntuali te­stimonianze della lettera­tura latina, consentono di ricostruire ambienti, me­todi e aspetti meno tecni­ci e più ludici. Attraverso le raffigurazio­ni artistiche è quindi pos­sibile ridisegnare ban­chetti, feste e rituali in cui il vino attraversava tra­sversalmente simposi e culto, piacere della com­pagnia e illusioni della trasgressione.
La mostra ha una naturale appendice in una serie di itinerari nell’antica Eno­tria (tra la Campania e la Basilicata): vengono infat­ti suggerite visite a Pom­pei dove l’eruzione del Ve­suvio del 79 d.C. sigillò tracce di viticoltura oggi reimpiantate. E poi le altre località note attraverso gli autori classici che ne can­tano il ruolo determinante nella produzione del vino: il Falerno, il Pompeiano, il Sorrentino. E ancora I­schia, l’antica Pithecusae, nel cui museo archeologi­co si trova la testimonian­za più antica della viticol­tura campana «La coppa di Nestore» datata a circa 3000 anni fa.
In Lucania sarà possibile ricercare le tracce della popolazione autoctona più antica: gli Enotri, che abitavano l’Enotria, cioè la terra del vino… Nell’area del Vulture si trovano estesi vigneti col­tivati ad aglianico: il ter­mine che qualcuno consi­dera la corruzione di vitis hellenica, il vitigno che se­condo la tradizione mag­giormente diffusa (ma non priva di campanili­smo) fu importato dall’an­tica Grecia dagli Enotri: autentici iniziatori dell’ar­te di produrre una bevan­da che non per niente è considerata «degli dei»…
«Avvenire» del 30 luglio 2010

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