30 luglio 2010

«Famiglia, tutelare il modello italiano»

Il sottosegretario: torni lo spirito del Family Day
di Pierluigi Fornari
Intervista Roccella: oltre agli aiuti economici è necessaria una vigorosa battaglia culturale
Tornare all’ispirazione originaria del Family day. Eugenia Roccel­la, portavoce insieme a Savino Pezzotta di quella storica mobi­litazione, invita ad una rifles­sione sulle politiche in favore della famiglia per superare formule re­toriche, luoghi comuni, impostazioni riduttive. «Da quella storica mobilita­zione della società civile viene una le­zione importante. La ragione primaria del raduno di oltre un milione di ita­liani in piazza San Giovanni era la vo­lontà di dire 'no' ad uno stravolgi­mento della concezione della famiglia così come delineata nella Costituzio­ne, stravolgimento operato attraverso una sostanziale equiparazione delle coppie di fatto alla famiglia. E ciò an­che per aprire la strada al matrimonio gay. Tutto il pacchetto di misure eco­nomiche che pure indicammo nel cor­so del Family day (equità fiscale, con­ciliazione maternità - famiglia, ecc) e­ra importante in tanto quanto era im­plicito nella difesa di quella defini­zione di famiglia.

E adesso invece cosa succede?
Mi sembra che il dibattito sia appiat­tito unicamente sulle misure sociali, sulle misure economiche, e ciò indi­scriminatamente, senza esplicitare, cioè, in modo inequivocabile le pre­messe antropologiche della difesa del­la vita, del matrimonio, della famiglia. Eppure Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha dimostrato come oggi la questione sociale sia integralmente u­na questione antropologica. Del resto l’esperienza storica dell’Europa ce lo conferma.

Si riferisce alle politiche adottate da altri Paesi europei?
C’è la tendenza a indicare questi Stati come esempi virtuosi perché le cifre degli interventi economici sono più sostanziose, trascurando di dire che in quelle nazioni la famiglia in quanto ta­le è in via di estinzione.

Ma gli aiuti economici strutturati sul­la famiglia e non sull’individuo re­stano una necessità...
Sia ben chiaro non voglio dire che il quoziente familiare non si deve fare. Si deve fare e il nostro governo lo ha posto come priorità. Allo stesso mo­do devono essere potenziati i servizi a favore della famiglia. Ma il problema di fondo, la discriminante, è salva­guardare il modello italiano, nella consapevolezza che le misure econo­miche di per sé, come appunto di­mostra l’esperienza dei Paesi stranie­ri, non bastano.

Eppure in Francia il tasso di fecon­dità è al 1,9...
A questo proposito io penso che sia necessario chiarire che politiche a so­stegno della natalità e politiche in fa­vore della famiglia non sono la stessa cosa. Nel senso che si può avere per e­sempio, come in Svezia, un rialzo del­l’indice di fertilità di qualche punto decimale nel contesto di una società dove la famiglia scompare e l’indice delle madri single è elevatissimo. Io sono a favore di una politica a soste­gno della natalità ma deve essere chia­ramente inquadrata nel contesto del­la tradizione culturale e sociale italia­na, una politica che subordini gli in­terventi monetari alla concezione del­la famiglia iscritta nella nostra Costi­tuzione.

Allora da dove partire?
Io penso che la priorità sia l’emergenza educativa, una battaglia culturale che sappia trasmettere attraverso la fami­glia alle nuove generazioni un patri­monio di valori, la ricchezza costitui­ta da ogni figlio e dall’apertura alla vi­ta. In questo senso mi sembra neces­sario sfatare una serie di luoghi co­muni.

Per esempio?
Nell’immediato dopoguerra gli italia­ni avevano una natalità elevata, ep­pure le condizioni economiche non erano migliori di oggi. In un certo sen­so l’apertura alla vita era una risposta coraggiosa ad una condizione di dif­ficoltà e di povertà. Una risposta che è stata premiata, infatti proprio quel­le generazioni hanno realizzato il 'mi­racolo economico'. Ora invece il fi­glio è considerato un optional, tal­volta persino un oggetto di consumo, da collocare in una scala dove è pre­ceduto da altre priorità. La procrea­zione medicalmente assistita è un po’ frutto di questa mentalità.

Ma se guardiamo al presente?
Anche se guardiamo al presente ci ren­diamo conto che lo schema econo­micistico non funziona: il 48% delle donne che abortiscono sono occupa­te, le disoccupate sono solo il 12%. Quindi l’occupazione femminile, per quanto importante, non è di per sé, co­me qualcuno vuol far credere, un fat­tore che incoraggia la maternità. Se fosse così, del resto, le regioni del nord, dove il tasso di occupazione femminile è pari e talvolta anche su­periore alle medie europee e dove i servizi ci sono, avrebbero un’impen­nata di natalità che invece non c’è mai stata. Quindi non è solo un problema di servizi.

Lei propone di puntare sul modello italiano, ma questo cosa significa in concreto?
C’è una specificità italiana che va sal­vaguardata. Tutta una serie di indica­tori negativi a riguardo dell’aborto, dei divorzi, delle madri single, sono nel nostro Paese meno pesanti che in altri Paesi europei.

Quali gli elementi di questa formu­la?
Una grandissima risorsa è un asso­ciazionismo che si ispira ai valori non negoziabili, una rete di solida­rietà che ci sta permettendo di fron­teggiare la crisi, partendo dalla fa­miglia e allargandosi al vicinato e al­la comunità. La politica a favore del­la famiglia deve partire da qui. Deve sostenere la stabilità del vincolo ma­trimoniale anche laicamente conce­pito. Deve aprire canali di scambio culturale con le nuove generazioni chiuse nella rete delle comunicazio­ni orizzontali, ristrette al mondo dei loro coetanei, e volatili quanto un sms, un twitter. Allo stesso modo per quanto riguarda la natalità deve par­tire dall’origine, del valore della ma­ternità, dalla riscoperta, grazie anche ad adeguate politiche, che partorire e allattare sono la cosa più naturale del mondo. Un figlio è sempre una ricchezza: lo è per l’economia di u­na Nazione (come dice Gotti Tede­schi) e lo è per il senso dell’esisten­za di ciascuno.
«Il pacchetto sociale di misure e di equità fiscale va integrato con le premesse della difesa della vita e del matrimonio C’è una cultura che va difesa Gli indicatori negativi (aborti, divorzi, madri single), sono nel nostro Paese meno pesanti che altrove in Europa»
«Avvenire» del 30 luglio 2010

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