06 luglio 2010

Anima, le ali della psiche

religiosa sulla sua tensione verso Dio non sono necessariamente contrapposte, anzi: rinunciando a facili schematismi ideologici, la collaborazione può essere proficua per entrambi i filoni. Due esperti a confronto
Lo psichiatra Smeraldi: «Fede al vertice dell’attività cerebrale»
di Enrico Smeraldi
Chi pensasse che la 'scienza del­la mente' e la 'scienza dell’a­nima' irreconciliabili opposti, quasi due nemici che, nel migliore dei casi si ignorano, nel peggiore si com­battono, probabilmente ha una visio­ne stereotipata e riduttiva della realtà. L’idea di un contraddittorio tra psi­chiatra e teologia non è del tutto nuo­va: nel 1933 Adler, figura di spicco del­la nascente psichiatria dinamica, ave­va scritto un libro su questo tema con il pa­store luterano Jahn, li­bro che venne subito distrutto dal potere nazista. Anche Pierre Janet aveva progetta­to un testo sulla psi­cologia della religio­ne, purtroppo mai realizzato. Questo te­stimonia la presenza di aree di competenza comune, anche se – ed è proprio questo ad essere in­teressante – le soluzioni offerte ai que­siti sono molteplici e per il versante psi­chiatrico anche in relazione a significati e riflessioni generate dalla evoluzione scientifica. D’altra parte, il presente tentativo nasce in un ambito di clinica psichiatrica più che di psicologia.
Personalmente, oltre alla possibile col­laborazione, vedo più di un punto di contatto tra teologia e psichiatria. Vor­rei iniziare sottolineandone due. Il pri­mo è rappresentato dalle domande di fondo che entrambe si pongono. Il mondo della religione, o della teologia, quando entra in comunicazione con gli uomini, parte da alcune domande alle quali si propone di dare una rispo­sta. Sono le domande essenziali per o­gni vita umana: chi siamo, che senso ha la nostra vita, quali sono i valori sui quali si basa la nostra esistenza, qual è il destino che ci aspetta. Ebbene, que­ste stesse domande sono anche il pun­to di partenza della psichiatria. Poiché è difficile parlare con un malato che si pone problemi esistenziali – e i malati psichici se li pongono – senza con­frontarsi con questi interrogativi fondamentali. Infatti solo gradatamente e lentamente la spiritualità viene distinguendosi da ciò che è semplicemente psichico, come in una sorta di scala di attività mentali superiori: pensiero concettuale, volere deliberato, creati­vità artistica, riflessione filosofica e, in ultimo, esperienza religiosa.
Vi è poi un altro forte punto di contat­to tra psichiatria e teologia, che definirei 'della costruzione'. Intendo dire che i malati (ma l’affermazione riguar­da anche tutti noi) costruiscono psi­cologicamente la religiosità, intesa co­me continua propensione verso la sfe­ra divina e soprannaturale. In questa accezione, l’oggetto non è quindi la re­ligione in sé, ma l’intreccio di struttu­re e processi psichici attraverso i quali il soggetto, durante il percorso di co­struzione della propria identità perso­nale, si relaziona con il divino e la reli­gione che incontra nel suo ambiente sociale e culturale. Sia l’adesione di fe­de sia il rifiuto ateo può essere studiato e capito in psicologia come funzione della persona, dei suoi di­namismi intrapsichi­ci e delle loro risolu­zioni. In termini psi­cologici puri, anche una scelta di ateismo è una forma di reli­giosità.
Di là a quello che può essere il proprio credo personale, tutti si pongono il problema del divino, tutti cercano qual­cosa che sfugge al controllo, che ha re­gole diverse dalla razionalità pura e semplice. Non amo la scelta in negati­vo che spesso gli psichiatri fanno, eli­minando la questione: anche se non se ne parla il problema esiste, quanto è innegabile che esiste un’esperienza re­ligiosa. E i malati psichici quell’espe­rienza la vivono e, quando possibile, ne parlano. Nella loro prospettiva la prassi psichiatrica proposta può, quin­di risultare appiattita e impoverita rispetto a dalle esigenze che, al contra­rio, sono spesso amplificate dai conte­nuti patologici. Così accade che quando uno psichia­tra ha una sua fede religiosa molti col­leghi lo considerano strano e gli chie­dono come fa a conciliarla con la psichiatria, mentire i pazienti che ne so­no consapevoli lo trovano del tutto naturale.

«C’è una scala di attività mentali superiori: pensiero concettuale, creatività artistica, riflessione filosofica ed esperienza religiosa»
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Il teologo Coda: «Convergere verso il bene dell’uomo»
di Piero Coda
Quando si parla dell’anima e della mente, del loro signifi­cato essenziale e della loro interazione, credo si possa a­prire un vasto e proficuo spazio di dia­logo, tra il teologo e lo psichiatra. Ov­viamente, se e in quanto questi due concetti vengono riferiti – almeno in una prima approssimazione, biso­gnosa poi di essere adeguatamente precisata e approfondita – a due 'og­getti' di esperienze e di intelligenza certo diversi l’uno dall’al­tro e tra loro distinti, ma di cui al tempo stesso è necessario cogliere e studiare la correlazione.
Io, ad esempio, in­tendo per anima, nel senso della filosofia classica e più precisamente, della tradizione religiosa cri­stiana, quella dimensione dell’essere umano che conferisce a esso unità e identità in virtù della sua sporgenza eccentrica, rispetto al mondo, sul mi­stero di Dio. Mentre, guardando alla psicologia nel senso moderno del ter­mine e alle neuroscienze, intendo per mente quel territorio del nostro esi­stere in cui interagiscono la sostanza materiale e biologica con quella psi­chica e cognitiva. Quando i due con­cetti sono intesi in questa prospetti­va – pur in una varietà di approcci e di comprensioni che può essere mol­to diversificata – tra il teologo e lo psi­chiatra si stabilisce un comune terre­no d’interesse di ricerca e di dialogo. E ciò – lo esprimo dal mio punto di vi­sta – innanzitutto perché il teologo si occupa di una tradizione di origine religiosa e di natura religiosa che ha una finalità precisa: quella di essere al servizio della maturazione e della rea­lizzazione integrale della persona, guardando alla decisività del suo rap­porto con Dio e, in Dio, con tutto il re­sto. Il che – per quanto concerne la sanità e lo sviluppo armonico del sé – è anche lo scopo della psichiatria. Il teologo cristiano in realtà muove dal­l’esperienza di fede in un evento che è, allo stesso tempo, per lui inaudito, e umanissimo: il farsi uomo del figlio di Dio, Parola del Padre rivolta defi­nitivamente al mondo, che dischiu­de all’uomo l’orizzonte realistico e in­tegrale della sua straordinaria voca­zione. Di conseguenza, tutto ciò che vi è di autenticamente umano, ha per il teologo un significato immensa­mente importante: proprio perché Gesù, in esso si apre e si compie nel­la relazione al divino, che come tale lo rispetta e lo introduce in una attuazione di sé che colma le sue aspi­razioni più originarie e radicali. D’al­tra parte, il teologo vede con grande interesse quel profilo nuovo e speci­fico di lettura dell’esperienza antro­pologica che la tradizione psicoana­litica e psichiatrica hanno rinvenuto, e di cui diventa importante e prezio­so avvalersi per approfondire la co­noscenza di quel mi­stero che l’uomo è a se stesso, e delle dinamiche della sua avventura.
Una teologia che sia autenticamente teo­logia, se non altro per i due motivi non appena enunciati, deve quindi essere positi­vamente attenta al­l’apporto che viene dalla ricerca e dal­le acquisizioni dello psicoanalista o dello psichiatra. Essendo al tempo stesso consapevole dell’apporto ori­ginale e indispensabile che essa è chiamata in prima persona a offrire nella decifrazione del mistero del­l’uomo. Un apporto che, a ben vede­re, si indirizza in una duplice direzio­ne. Da un lato, di incontra con un ap­proccio filosofico e metafisico all’e­sistenza umana che lo vede irriduci­bile ai dinamismi materiali, psichici e sociali in cui si incarna: perché fon­data da e aperta a un’esperienza del trascendente. E, dall’altro, si sviluppa secondo una modalità specifica in quando nasce dall’intelligenza di ciò che rappresenta per l’esistenza uma­na l’esperienza inedita che ha fatto irruzione nella storia con l’evento di Gesù Cristo, esperienza che continua a vivere e a dare frutti nella pratica di coloro che condividono come Chie­sa la sequela di Gesù.
«La sanità e lo sviluppo armonico del sé sono obiettivi comuni alle due tradizioni, quella medica e quella teologica»
«Avvenire» del 6 luglio 2010

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