30 giugno 2010

«Sono quasi 2 milioni gli scommettitori patologici»

Lo psicologo Massone: ci sono tre categorie, sociali, problematici e compulsivi
di Antonio Giorgi
«Quando si affrontano queste tematiche bisogna evitare di cadere nelle semplificazione. Ogni giocatore è diverso dal­­l’altro, ogni problema va trattato tenendo conto della personalità del soggetto. Non esiste una ricetta buona per tutti». Giusep­pe Massone, milanese, è psicologo e psico­terapeuta. Di 'malati' di gioco che gli chie­dono aiuto ne incontra spesso, ultimo ca­so in ordine di tempo quello di una signo­ra che arrivava a bruciare in poche ore il suo stipendio mensile mettendo seriamente a rischio l’equilibrio familiare. «Non con il poker o le puntate alle scommesse clande­stine, però. La signora era una habitué del banalissimo gratta e vinci. La sua smania di scoprire cosa si nascondesse in ogni bi­glietto acquistato era una vera ossessione, una patologia».
Per fortuna non tutti approdano a questi limiti estremi della febbre da gioco. O no?
Chiaro che no. Direi che possiamo indivi­duare tre categorie: i giocatori sociali (gio­cano per stare con gli altri, per socializzare), i giocatori problematici (quelli che comin­ciano a perdere il contatto con la realtà che li circonda) e infine i patologici. Questi ulti­mi sono affascinati, incantati dal rischio e pensano di essere in grado di dominare gli eventi, al di sopra e al fuori di ogni calcolo delle probabilità. Sono malati, e sono sem­pre più numerosi. Sono circa il 3 per cento.

Dei giocatori o degli italiani?
Degli italiani. La patologia del gioco conta­gia almeno un milione e 800mila soggetti, vi­sto che siamo ormai sui 60 milioni. Preoc­cupa la crescita del numero delle donne at­tratte dal bingo, dal poker e da tutto il resto. Siamo di fronte al dilagare di quello che chia­miamo disturbo ossessivo-compulsivo.

Generato da che cosa? Cioè, qual è la gene­si della patologia?
La molla scatenante è spesso la smania del volere tutto e subito, dimenticando che o­gni traguardo richiede fatica e impegno. Si sfida la fortuna e ci si rovina. Oggi poi la ca­tegoria dei giocatori sociali (banalmente, quelli che giocano a carte al bar, che stanno con gli altri, che dialogano e si incontrano) è messa a rischio dalla diffusione delle mac­chinette e dei giochi on line da casa propria. Si agisce da soli, in privato, e sempre da so­li ci si caccia in un vicolo cieco. Il controllo sociale non c’è più.

Si può fare ancora qualcosa, correre ai ri­pari, mettere un argine al dilagare di prati­che devastanti?
Informazione corretta, sensibilizzazione sui rischi, educazione dei giovani ad un gioco responsabile (perché si può giocare re­sponsabilmente) sono le mosse da privile­giare. Certo che quando il comportamento patologico si è affermato...

Intende dire che a quel punto non resta nul­la da fare?
Questo no. I gruppi di auto aiuto possono dare un mano. Ci sono cliniche dove ci si può 'disintossicare' dal vizio, anche se spes­so una volta dimessi la ricaduta è inevitabi­le. Punterei soprattutto sui gruppi di auto aiuto, sull’esempio degli alcolisti anonimi. Per i più giovani serve sì formazione, ma an­che la sana pratica della proibizione. Pur­troppo oggi le macchinette sono dapper­tutto.

Lo specialista in concreto cosa deve fare?
Di fronte a disturbi ossessivi-compulsivi de­ve intervenire uno psicologo del compor­tamento che sappia andare a fondo valu­tando la personalità e il pregresso del sog­getto invece di limitarsi a curare un certo sintomo.
«Avvenire» del 30 giugno 2010

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