15 giugno 2010

Perché mai i magistrati protestano se sono i veri privilegiati?

di Renzo Rosati
All’inizio ci avevano provato: «Forse c’è nella manovra una particolare volontà di punire i magistrati italiani. Qualcosa d’incostituzionale ». Parole di Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione nazionale magistrati, il sindacato unico delle toghe. Falliti gli incontri a Palazzo Chigi con il sottosegretario Gianni Letta per farsi esentare dal congelamento triennale degli stipendi del pubblico impiego e dalle sforbiciate alle retribuzioni oltre i 90 mila euro, l’Anm ha così indetto uno sciopero per il 1° luglio e proteste per il 23 e il 24 giugno; nonché dal 7 al 21 luglio agitazioni «bianche». Vale a dire salvando la busta paga. L’obiettivo, dichiarato da Luca Palamara, presidente dell’Anm: denunciare le misure «ingiustamente punitive» contro la categoria, ma anche spiegare all’opinione pubblica «i veri mali della giustizia italiana».
Palamara, resosi conto che la linea politica non faceva presa, ha ripiegato sulla più ortodossa difesa delle retribuzioni. Però è facile prevedere che nel mucchio entrerà di tutto, dal congelamento di stipendi e scatti alle intercettazioni, dalle «procure di frontiera » ai fondi e mezzi «eternamente negati alla giustizia». In realtà, se c’è una voce davvero autonoma e custodita con assoluta gelosia nella sua quasi imperscrutabilità, è quella degli stipendi delle toghe. E se c’è un problema di malfunzionamento, i magistrati dovrebbero rivolgere le accuse a se stessi: come ha fatto il 29 gennaio il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, leggendo la relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2009. Una requisitoria durissima nei confronti di giudici e pm, pronunciata da uno dei loro più alti rappresentanti.
Ma torniamo agli stipendi. Panorama ha attinto a una fonte certa: il Prontuario delle competenze dovute alla magistratura ordinaria del ministero della Giustizia, in applicazione del decreto del 23 giugno 2009, vidimato dalla Ragioneria dello Stato. In pratica, il contratto di lavoro in corso della categoria. Che tuttavia, a differenza degli altri contratti del pubblico impiego, ha questa singolarità: è lungo 25 pagine, indica nove livelli d’inquadramento e 387 scatti progressivi di retribuzione. Le cifre fotografano i livelli medi sia per inquadramento sia per importo.
Ma anche le qualifiche sono fuorvianti: per un «magistrato ordinario dopo un anno dalla quinta valutazione di professionalità (cioè l’ex magistrato di Corte di cassazione) », alla qualifica Hh06, sono fissati per esempio 38 diversi livelli di stipendio, con la bazzecola tra il primo e l’ultimo scatto di 8.527 euro mensili. E non è detto, poi, che quello stesso magistrato debba effettivamente avere a che fare con il lavoro alla Suprema corte: si tratta di un grado, come quello dei comandanti di vascello che non hanno mai comandato alcun natante.
Anche il meccanismo degli scatti e i richiami alle «valutazioni di professionalità» richiedono una spiegazione. In effetti, per una carriera di 387 scatti biennali occorrerebbero 774 anni. Anche restando sempre all’interno della stessa qualifica si incontrano 38 scatti, per un totale teorico di 76 anni. Dov’è l’arcano? Proprio in quella che appare come la nota meritocratica, cioè la valutazione di professionalità introdotta dalla riforma firmata nel 2007 dal guardasigilli Clemente Mastella sotto il governo di Romano Prodi. La valutazione è quadriennale e gli scatti biennali; è di competenza del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno che nel 96 per cento dei casi dà un via libera; ma se anche qualcuno incappa in una bocciatura (o la sua carriera viene frenata per altri motivi tecnici), i suoi benefici economici sono salvi. Lo ha spiegato Mario Cicala, ex leader dell’Anm, citato da Stefano Livadiotti nel libro-inchiesta L’ultracasta (Bompiani): «Vige il principio della conservazione dello stipendio maturato. L’amministrazione attribuisce tante classi al 6 per cento e tanti scatti al 2,5 per cento quanti sono necessari a non farlo arretrare, dopodiché applica su tale stipendio gli scatti maturati nella categoria di provenienza».
Il criterio, detto «trascinamento», è l’eredità del meccanismo del «galleggiamento» che fino al 1992 ha regolato le paghe delle funzioni dirigenziali: un nuovo ingresso a parità di grado con stipendio più elevato provocava l’immediato allineamento di tutti gli altri. Oggi c’è lo «scalone» che vale il raddoppio dello stipendio: se ne beneficia dopo circa cinque anni, cioè a metà del quinquennio successivo all’assegnazione in ruolo (due anni). E dopo un’altra decina d’anni, quando si ottiene lo status, anche nominale, di magistrati di Cassazione. A questo punto ci si può chiedere con quali criteri lo stesso Cicala abbia promosso un’«operazione trasparenza» pubblicando sul sito internet dell’Anm «le nostre vere retribuzioni». La tabella, intitolata lapidariamente La retribuzione del magistrato, indica stipendi del 2002-2003, minimi contrattuali che non percepisce nessuno, qualifiche che non corrispondono più alla realtà; e precisando (in maiuscolo) «attenzione, si tratta di retribuzioni al lordo», fornisce stipendi che non stanno né in cielo né in terra. Che sia lo stesso spirito di trasparenza che anima la battaglia sui «veri mali della giustizia»? A illustrarli ha provveduto sempre Carbone. Alcuni esempi sono noti, come il record di giudizi penali giacenti in primo grado: 1,2 milioni a fine 2006. La Turchia ci segue con 700 mila giudizi da evadere. La Germania ne ha meno di 300 mila, la Spagna 200 mila, la Gran Bretagna 70 mila.
Altri sono meno noti: la lentezza della giustizia civile nel 2009 è costata alle aziende oltre 25 miliardi fra arbitrati e parcelle. E per tutti, imprese e famiglie, è uno dei motivi alla base del record di avvocati in Italia: 26,4 per ogni magistrato, poco più della Spagna, ma il doppio della Grecia, oltre il triplo della Francia, il quadruplo della Germania, otto volte la Gran Bretagna.
Certo, Carbone indica altre disfunzioni del sistema: in Italia ci sono 1.292 tribunali, record europeo. Dei 165 «maggiori», il 56,35 per cento ha meno di 20 magistrati: «Una distribuzione irrazionale che sfugge ai più elementari principi di buona organizzazione e utilizzo del denaro pubblico».
Un altro organo della magistratura, la Corte dei conti, nello studio Il costo del lavoro pubblico dal 2003 al 2005 calcola che in quei tre anni i dipendenti dello Stato abbiano beneficiato di aumenti di stipendio del 12,8 per cento: ma tra loro i magistrati hanno il record, con il 26,2. Secondo il rapporto 2009 della Commissione europea per l’efficienza della giustizia, ciò significa che un magistrato di Cassazione guadagna 3,6 volte lo stipendio di un lavoratore medio. In Germania il rapporto è di 2,1. Il Libro verde sulla spesa pubblica del ministero dell’Economia corregge la stima al rialzo: le toghe di grado più elevato percepiscono in media il 470 per cento dei comuni mortali. Ora vedremo come i magistrati spiegheranno sciopero e agitazioni. Qualcuno si è già dissociato, come il procuratore generale della Cassazione, Vincenzo Nardi, il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, e la pm romana Maria Cordova: «Non è corretto nei confronti di chi guadagna una miseria». O come Guido Salvini, giudice milanese. Ma sono voci isolate. Anche perché tra i primi a definire «iniqua» la manovra, e a proclamare lo sciopero, è stata la Corte dei conti. Che finora ha fatto le bucce a tutto il pubblico impiego. Ma che ha anche le retribuzioni top.
«Panorama» del 15 giugno 2010

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