09 giugno 2010

Non giudicate lo scrittore

di Luigi Sampietro
L'America è un Paese libero e, alla fine della Seconda guerra mondiale, non v'è chi non abbia toccato con mano – visto e letto – quali siano stati gli effetti della bomba di Hiroshima. Stati Uniti e Unione Sovietica hanno rotto l'alleanza che li aveva portati alla vittoria contro i nazisti e, a partire dal 1947, si comincia a parlare di "guerra fredda". All'inizio degli anni 50 corre voce – le spie sono al lavoro – che i russi stiano costruendo una superbomba.
Soprattutto si teme l'invasione. Che arrivino i russi e che si finisca tutti quanti in catene. La propaganda del Dipartimento di Stato ha buon gioco in un Paese che, da sempre – fin da quando era una colonia inglese – va soggetto a forme di isteria di massa. Streghe, marziani, ultracorpi, comunisti, microbi e batteri. L'idea che ci si fa oggi di quei giorni è che gli americani si muovessero guardando di continuo lo specchietto retrovisore con in mente ben chiaro un concetto: «Le spie dei rossi sono tra noi». Il braccio armato del governo sono lo Huac (House Committee on Un-American Activities, istituito nel 1938) e il nuovo "Senate Permanent Subcommittee on Investigations" (1953) a capo del quale "ringhia" e "manda" il senatore Joseph McCarthy.
Il clima è da "caccia alle streghe" e, quando, da un sondaggio Gallup, risulta che il 50 per cento degli intervistati è favorevole a McCarthy, il capo della Corte Suprema Earl Warren commenta: «Temo che se si andasse a votare in questo momento, la Carta dei Diritti ("Bill of Rights") correrebbe il rischio di essere abrogata». In nome della sicurezza nazionale.
Sul banco degli imputati finisce, insieme ad altri personaggi, un famoso scrittore di libri polizieschi. Dashiell Hammett. Autore di cinque romanzi e numerosi racconti, ha smesso di scrivere nel 1934. Da L'uomo ombra (1934) e da Il falcone maltese (1930) sono stati tratti due film, interpretati, rispettivamente, da William Powell e Myrna Loy (1934) e da Humphrey Bogart e Mary Astor (1941). Afflitto dalla tubercolosi e dal mal du siècle (che, nel Novecento, è, per artisti e scrittori, l'alcolismo), Hammett è ormai soprattutto un attivista politico.
Indagato come capo di un'organizzazione che, nel 1949, aveva pagato la cauzione per un gruppo di dirigenti comunisti, incriminati sulla base di una legge del 1940 (lo "Smith Act"), i quali se l'erano poi squagliata sottraendosi al processo, Hammett compare davanti al giudice della Corte d'appello di New York il 9 luglio 1951. A leggere il resoconto della deposizione si ha l'impressione di avere tra le mani non dico una farsa, ma un atto unico degno di quel che in quegli anni andava sotto il nome di "teatro dell'assurdo". Sono più di ottanta le volte, in 30 paginette di verbale, in cui Hammett risponde, anzi "non risponde" agli inquirenti appellandosi al Quinto emendamento della Costituzione. E ogniqualvolta il giudice gli ordina in modo esplicito di dare seguito a una domanda, Hammett riprende il ritornello: «Mi rifiuto di rispondere perché la risposta potrebbe essere usata contro di me».
Nel ricordare che lo "Smith Act"– una legge firmata da Roosevelt, all'epoca del Patto Molotov-von Ribbentrop, cioè alla vigilia della Seconda guerra mondiale – ordinava «di processare qualsiasi persona o associazione mirante al rovesciamento o alla distruzione del governo degli Stati Uniti mediante la forza o la violenza», l'impressione è che Hammett, per non correre il rischio di vedersi accusare di favoreggiamento nei confronti dei latitanti, scelga di fare il duro, come uno dei suoi personaggi d'invenzione, e di negare anche l'evidenza. Un comportamento ostruzionistico che lo porta a una prevedibile condanna per "disprezzo della Corte".
Ma è nel corso degli interrogatori davanti alla Commissione senatoriale presieduta dal trucibaldo McCarthy (1953), che si può ravvisare la morale di questa brutta storia. McCarthy, acceso da sacro furore, ha cominciato a mettere il naso negli schedari delle biblioteche dell'Usis per accertarsi che non contengano libri di autori che fanno il doppio gioco. Perseguibili per "attività antiamericane". L'Usis è l'ufficio di informazione, o propaganda che dir si voglia, che il governo di Washington ha aperto nel 1953 in 150 Paesi, con un budget annuale di 2 miliardi di dollari.
Nel caso di Hammett, lo scopo dell'indagine è stabilire se parte dei soldi spesi dal Dipartimento di Stato per l'acquisto dei suoi libri (circa 300 copie che, al 15% del prezzo di copertina, hanno fruttato in tutto 90 dollari) possano essere finiti nelle casse del Partito. L'accusa di McCarthy a Hammett non è nemmeno di tipo fascista. Non è quella di avere screditato il proprio Paese rappresentandone i crimini e la corruzione. Non riguarda, cioè, quel che Hammett ha scritto bensì quel che Hammett è o potrebbe essere. Con buona pace della Costituzione.
Già, la Costituzione. Verso la fine dell'ultimo interrogatorio, quel vecchio e ingiallito foglio di carta, emerge dalle tenebre con un ironico e quasi impercettibile coup de théâtre e si impone come il segnacolo di tutte le garanzie. Quando uno degli inquirenti – esasperato – chiede a Hammett che si rifiuta di rispondere: «Vuole mettersi di nuovo al riparo della Costituzione?», come se questa fosse nient'altro che un intoppo. «Sì, signore», replica, serafico, il nostro scrittore.
La Commissione gioca sporco, ma non si arrischia a metterne in discussione le idee. Si limita a cercare di incastrarlo nemico di un Paese che però, anche in quel momento di crisi febbrile, non arriva a chiudere i giornali e non mette al bando i libri di chi è sospettato. E se qualcuno può essere accusato di essere antiamericano costui è proprio McCarthy.
«Il Sole 24 Ore» del 7 giugno 2010

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