22 giugno 2010

«Maturità è tutto» e allora andiamo alla vita

La scuola, la pelle, l'identità
di Alessandro D'Avenia
Dopo 13 anni di scuola Mattia è arrivato al punto: la maturità. Ha 18 anni, Mattia. Anagraficamente è maturo, la carta di identità lo afferma: quel diciottenne ha il diritto di guidare, votare, andarsene di casa (se vuole). Rimane un rito di passaggio tutto italiano: l’esame di maturità. Mattia sotto sotto se lo chiede: sono io maturo? La prof di inglese (brava lei, che crede alla letteratura, alle parole) l’ultimo giorno di scuola ha seminato il dubbio, ricordando le parole del King Lear: «L’uomo deve aspettare con pazienza / il suo momento di uscire dal mondo, /come aspetta il momento per entrarci. / Maturità è tutto (Ripeness is all). Andiamo, via!».
La prof ha detto che in questi versi il termine «maturità» (ripeness), significa sia «maturazione» sia «l’essere pronti». Nella traduzione si perde il doppio valore: punto di arrivo parziale e dinamismo continuo che rende vigili e pronti a rispondere al reale. Mattia si chiede se è maturo, se è pronto: non preparato solo per l’esame, ma pronto alla vita, alla storia unica e irripetibile che è venuto a raccontare. Tutti ce lo siamo chiesti, di là dal mutare delle forme della prova. Tutti infatti ci sorprendiamo a sognare regolarmente l’esame di maturità: come ogni rito di passaggio vero, emerge nei nostri incubi, che tentano di integrare i dubbi che abbiamo (avuto) su noi stessi.
Sono pronto per entrare nel mondo? In altre parole Mattia si sta chiedendo se gli adulti, con i quali ha avuto a che fare per 13 anni a scuola, lo abbiano reso pronto. Se «maturità è tutto», Mattia controlla lo zaino di cui 13 anni di scuola lo hanno dotato e si chiede se è pronto a intraprendere la strada della vita con vera autonomia, libertà, identità o se invece ad aggirarsi per le strade del mondo sarà una personalità fragile il cui orizzonte di senso è ancora tutto da concepire e quindi deciso da mode e pressioni culturali. Cosa significa essere maturo, cosa significa essere pronto? Tutti noi vogliamo avere amici e compagni di vita «profondi» e non «superficiali»: l’uomo metaforicamente concepito sembra avere strati di profondità.
Ecco cosa è la maturità, Mattia: avere attivato in questi 13 anni gli strati più profondi della tua identità e avere maturato la capacità di affrontare tutte le situazioni con lo strato della tua identità adeguato. La tua vita intima Mattia non si evolve e decade come il corpo, semplicemente si approfondisce, si sveglia o si risveglia a qualsiasi età. Pavese scriveva che «la maturità è questo: non più cercare fuori ma lasciare che parli col suo ritmo, che solo conta, la vita intima». Se non è accaduto, Mattia, sei rimasto superficiale e la vita ti abbatterà regolarmente. Perché la vita vuole risposte. Se la tua identità non si è radicata nel profondo e non scaturisce dal profondo, Mattia, userai la pelle per rispondere ai richiami della realtà. Ma la pelle non basta. Si sfalda a contatto con la realtà. Solo lo spirito, forte e permeabile allo stesso tempo, non si sfalda.
Mattia allora si siede su quella dannata sedia rituale e guarda i suoi esaminatori e chiede loro: siete stati voi maturi a rendermi maturo? Sapete voi chi siete e cosa fate al mondo? Mi avete inserito consapevolmente nella narrazione che la storia ha costruito attorno a me? Non è questione di prendere 60, 80 o 100. Ci sono persone il cui esame di maturità verrà ricordato negli annali, che non sanno chi sono; altri passano per miracolo, ma usciti dalle mura di scuola trovano sé stessi, perché sanno chi sono e cosa vogliono.
La vita ha le sue contingenze e le sue forme più o meno adeguate alla sorprendente varietà delle esistenze. Solo chi si possiede può donarsi al mondo. La maturità è possedersi, cioè avere accettato il compito che è la propria vita ed essere pronti ad affrontare il reale con le antenne giuste per andare a caccia delle uniche tre cose che rendono la vita piena e felice, anche se faticosa: il bene, la verità, la bellezza. Mattia, «Maturità è tutto, andiamo via». O meglio andiamo dentro, all’esame. Alla vita.
«Avvenire» del 22 giugno 2010

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