23 giugno 2010

Ma Pound resta Pound anche senza il premio Nobel

di Cesare Cavalleri
L’Accademia di Svezia ha reso accessibile dal 1° gennaio di quest’anno la documentazione relativa al Nobel del 1959, assegnato a Salvatore Quasimodo, e il professor Enrico Tiozzo si è giustamente precipitato a consultarla, essendo autore dell’interessantissimo volume La letteratura italiana e il premio Nobel, pubblicato l’anno scorso da Olschki, che arrivava, per necessità, fino al 1958.
L’articolo di Tiozzo, che compare nell’ultimo numero della rivista 'Belfagor' con il titolo «Un Nobel d’assi vinto a tavolino, nel 1959», informa che Quasimodo dovette vedersela soprattutto con Karen Blixen, l’autrice di La mia Africa e del Pranzo di Babette , contro la quale scattò il veto dell’accademico Eyvind Johnson, che a sua volta avrà il Nobel nel 1974, ex aequo con il collega Harry Martinson.
Un inciso del saggio di Tiozzo, ha colpito le agenzie giornalistiche, che l’hanno rilanciato in questi termini: «Il poeta statunitense fu candidato nel 1959 al prestigioso riconoscimento dallo scrittore Johannes Edfelt nella sua veste di presidente del Pen Club di Svezia. Ma la Commissione Nobel non gradì quel nome 'pesante', tanto che il suo presidente Anders Österling si sbarazzò di Pound osservando come il candidato, pur non trovandosi più nelle condizioni di recluso in un manicomio americano dopo la condanna per collaborazionismo fascista, si fosse tuttavia reso responsabile, nella sua opera, della propagazione 'di idee che sono decisamente in contrasto con lo spirito del Premio Nobel'». Quasi tutto vero ma, se si vuol parlare dei rapporti tra Pound e il Nobel, occorrono alcune precisazioni.
Pound era stato candidato anche nel 1957, ma fu escluso «a causa dei noti fatti e finché il candidato è internato negli Stati Uniti». Infatti, il poeta dei Cantos uscì dal St. Elizabeths Hospital solo nell’anno successivo. La reclusione, tuttavia, non aveva impedito nel 1948 l’assegnazione ai Canti pisani del prestigioso premio Bollingen della Libreria del Congresso americano. Va anche ribadito che Pound non fu mai condannato: il processo fu sempre rinviato e finalmente la pubblica accusa ritirò le imputazioni a causa delle condizioni di salute del poeta.
Ma già nel 1955, come si apprende dal citato volume di Tiozzo, l’Accademia svedese aveva discusso su Pound, quando egli era in corsa per il Nobel con Papini, Moravia e altri.
Il giornalista Ingemar Wizelius fu incaricato dall’Accademia di redigere un rapporto sui candidati. Molto severo con Papini, Wizelius scrisse tuttavia: «Scrittori delle dimensioni di Hamsun o di Ezra Pound possono esprimere le opinioni che vogliono senza che ne venga compromessa la loro azione artistica».
Questa valutazione, a quanto pare, non sdoganò Pound neppure negli anni successivi.
In ogni caso, che Pound e neppure Ungaretti abbiano ricevuto il Premio Nobel, va a esclusivo disdoro dell’Accademia svedese, tanto più che negli ultimi anni, almeno a partire dal Nobel 1997 a Dario Fo, ricevere il Nobel può sembrare beffardo, a parte la ricca dotazione economica del premio.
Pound è e resta Pound anche senza Nobel. Fa testo, da parte di chi se ne intende, un celebre aneddoto. Hemingway, Nobel 1954, inviò a Pound, qualche anno dopo, un assegno con quello che gli era rimasto dei soldi del Premio, rapidamente sperperato, con un biglietto in cui significava che il Premio sarebbe dovuto andare ben più giustamente a lui. Pound, che non aveva mai navigato nell’oro, non incassò l’assegno, tuttora incorniciato a Brunnenburg, nel castello della figlia, Mary de Rachewiltz.
«Avvenire» del 23 giugno 2010

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