10 giugno 2010

La scuola aspetta ancora di sapere dove sta il merito

di Andrea Ichino
Speculare, in latino, vuol dire guardare lontano. Questo fanno i mercati finanziari e per questo i tagli alla spesa pubblica decisi in questi giorni dal governo vanno giudicati, non tanto guardando agli ovvi costi immediati, quanto soprattutto chiedendosi se possono davvero aumentare le possibilità di crescita futura del paese. È un po' come potare gli olivi: la potatura può apparire drastica e feroce agli inesperti, ma è quella giusta solo se dà spazio ai rami più produttivi e se li rafforza.
Le notizie sulla manovra fanno temere che finisca per essere interpretata dai mercati finanziari come una potatura indiscriminata. Il problema non è l'entità dei tagli che avrebbe potuto essere ben maggiore. Il problema è che il governo non sembra avere il coraggio di tagliare di più dove serve e al tempo stesso convogliare risorse maggiori sui rami che potranno dare frutti.
Le scelte che meno convincono sono quelle che direttamente o indirettamente riguardano il mondo della scuola. Questo è il ramo da cui più dipende la crescita di lungo termine della nostra pianta. Qui si forma non solo il capitale umano ma anche il capitale sociale, ossia quel tessuto di senso civico, di fiducia reciproca, di disponibilità a cooperare per il bene comune che ormai concordemente sociologi, politologi ed economisti considerano come il presupposto essenziale per lo sviluppo di una collettività. Senza insegnanti bravi e motivati il capitale umano e quello sociale in Italia, lungi dal crescere, continueranno invece sulla strada del declino ormai da lungo tempo imboccata. E questo non può non preoccupare i mercati finanziari.
Per arginare queste preoccupazioni, il governo dovrebbe approfittare dell'emergenza mettendo le basi di un sistema retributivo capace finalmente di premiare e motivare gli insegnanti migliori tra quelli in servizio e di attirarne di nuovi ancora più bravi. Il blocco indiscriminato delle retribuzioni è l'ennesimo schiaffo a chi s'impegna nella scuola senza alcun riconoscimento e l'ennesima prosecuzione di un regalo indebito a chi continua a ricevere uno stipendio con poco merito.
È vero che gli stipendi dei dipendenti pubblici sono cresciuti mediamente di più di quelli dei privati negli ultimi anni. Ma, soprattutto nella scuola, sono cresciuti in modo uguale per tutti, e quindi troppo poco per quegli insegnanti che con enorme impegno riescono ancora a far funzionare il sistema istruzione in Italia, ma troppo per gli altri che poco fanno con grave danno degli studenti che da questi ultimi devono imparare. Un danno irrimediabile soprattutto per gli studenti più poveri, perché quelli ricchi possono sopperire in molti modi alla bassa qualità dei loro insegnanti.
Proprio per convincere i mercati finanziari che l'Italia vuole investire nella crescita futura del paese, è urgente togliere dal mondo della scuola tutti coloro che a questa crescita non contribuiscono e investire sugli altri. Per farlo occorre impostare un efficace sistema di valutazione e di supporto per le scuole e gli insegnanti. Un sistema che dia autonomia vera alle scuole nella gestione delle loro risorse umane (in particolare assunzioni, licenziamenti e retribuzioni) e della loro offerta formativa, a fronte di un altrettanto vera valutazione dei risultati. Una valutazione che dovrà compiersi dopo che le scuole avranno avuto modo di riorganizzarsi per conseguire gli obiettivi che la collettività a loro vorrà assegnare e che dovranno essere ben chiariti in anticipo.
Costruire questo sistema costa, ma è un investimento necessario e urgente che il ministro Gelmini più volte ha auspicato. I tagli senza un investimento di questo tipo lasceranno sempre il paese esposto agli attacchi degli speculatori, ossia di chi guarda lontano.
«Il Sole 24 Ore» del 4 giugno 2010

Nessun commento: