17 giugno 2010

La forza della vita

Andrea Bocelli si racconta al Foglio, col sole in fronte e l’attesa della partita
di Annalena Benini
Andrea Bocelli si è stupito quando ha cominciato a ricevere telefonate da tutto il mondo, cioè più telefonate del solito. Volevano sapere di quel messaggio ripreso dai giornali, in cui racconta di sua madre incinta a cui in ospedale era stato consigliato di abortire e che non aveva ascoltato il consiglio. “Ho detto quelle cose un anno e mezzo fa, in un videomessaggio per padre Richard Frechette (padre Rick), un missionario che lavora per i bambini di Haiti e meriterebbe lui solo un romanzo: feci un concerto, per aiutarlo a costruire la Casa degli Angeli, mi chiese di dire due parole di speranza per le madri in difficoltà e io scelsi di raccontare la storia della mia nascita. Lo feci raccontando la vicenda privata di mia madre senza nemmeno chiederle il permesso, ma non mi ha rimproverato, però non ero preparato a tutto questo clamore a scoppio ritardato”, dice al Foglio, al telefono, mentre la famiglia Bocelli, a Forte dei Marmi, si prepara a seguire la prima partita dell’Italia (“i miei figli e io siamo molto tifosi, durante l’anno interisti”).
“Per quest’occasione ho pensato di raccontarvi una piccola storia, la storia è questa – sorrideva quieto Bocelli suonando il pianoforte – una giovane sposa in stato interessante arrivò in ospedale per un semplice attacco di appendicite, i medici dovettero applicarle del ghiaccio sulla pancia. Alla fine di questi trattamenti i medici le consigliarono di abortire il bambino, perché sarebbe sicuramente nato con qualche infermità, ma la giovane coraggiosa sposa decise di non interrompere la gravidanza e il bambino nacque: quella signora era mia madre e il bambino ero io. Sarò di parte ma credo di poter dire che fu la scelta giusta, e spero che questo possa di essere di incoraggiamento per tante madri che si trovano in momenti complicati ma vogliono salvare la vita del loro bambino. Per salutarci voglio farvi ascoltare una piccola vecchia canzone che ai miei bambini è piaciuta molto”.
E via: “Voglio vivere così col sole in fronte e felice canto beatamente, voglio vivere e goder l’aria del monte perché quest’incanto non costa niente”. Ora si imbarazza a parlarne, per lui non è nulla di straordinario: è la storia della sua vita, non c’è stato un momento preciso in cui sua madre gliel’ha raccontata, l’ha sempre saputa, “sono quelle cose che girano per casa”. Ma la consapevolezza dello scampato pericolo e di avere una madre molto coraggiosa avrà influito sui comportamenti di un bambino non esattamente come gli altri (si accorsero presto che al piccolo Andrea, di pochi mesi, dolevano molto gli occhi azzurrissimi e cominciò una lunga consuetudine con gli ospedali, con una biciclettina da usare in corsia per farlo sfogare un po’ e in seguito, per sei anni, un collegio speciale, come racconta Bocelli stesso in una vecchia autobiografia). “Forse sì, forse ho ereditato nel Dna il coraggio di mia madre, ora mi sono calmato, ma da bambino e da ragazzo ero uno spericolato, un’incosciente: amavo la velocità, buttarmi a rotta di collo con la Vespa o a cavallo, lanciarmi col paracadute, nascondermi nei trattori, al paese ancora mi raccontano le mie scorribande notturne”.
E’ anche per questo che non vuole mai parlare della cecità, “perché davvero nella mia vita ci sono cose molto più importanti da raccontare: la mia vita è una fiaba, la storia di un bambino che non vedeva l’ora di andare a messa la domenica perché alla fine gli avrebbero permesso di suonare un po’ l’organo, che ha seguito un sogno e a un certo punto quel sogno si è realizzato” (Bocelli si corregge, aveva detto: “L’ho realizzato”, ma è attento a non lodarsi, a non fare la star, è orgoglioso di uno dei figli che è tornato dal college in Inghilterra senza che nessuno sapesse che è il figlio di Bocelli, il cantante italiano più famoso al mondo, il tenore da settanta milioni di dischi, l’ex ragazzino di Lajatico che si arrampicava sui davanzali a quattro anni). “Una mattina, a Torino, cammino col bimbo per mano lungo un viale del centro alla ricerca di una fermata del tram. Mi fermo alla prima che trovo e mi distraggo un attimo per dare un’occhiata a una vetrina, mi volto e mi sento rimescolare il sangue: il bimbo non c’è più. Disperata, guardo da tutte le parti… non c’è. Lo chiamo: nulla! Non so come alzo gli occhi, non sapendo più dove guardare, e te lo vedo lassù: s’era arrampicato fino in cima al palo della fermata”, racconta ancora adesso la madre di Bocelli. “Ricordo bene l’angoscia dei miei genitori, mi ficcavo sempre nei guai, ora che sono un padre apprensivo sono felice che i miei figli siano molto più ragionevoli di me, meno spericolati”. Spericolato, incontenibile, ma anche capace di chiudersi ore nella stanza del pianoforte ad ascoltare musica e suonare (“musica classica, niente pop, infatti gli amici mi schernivano, così ho sviluppato, per rabbia, un rapporto conflittuale con la musica moderna: l’ho scoperta solo da grande, quando ho iniziato a suonare nei piano bar per raggranellare un po’ di soldi, ma anche allora preferivo Frank Sinatra, Mina, Ornella Vanoni”).
La musica non è stata un innamoramento consapevole, ma una cosa fortissima che aveva nel sangue già da neonato. “Mia madre mi racconta che smettevo di piangere appena sentivo una melodia, anche attraverso il muro nella stanza d’ospedale: mi giravo verso il suono e ascoltavo incantato”. Così lo studio, i vinili dei tenori, la vita di campagna con le croste sulle ginocchia e un fratello minore che da piccolo chiamavano “Pace santa” per sottolineare la differenza con lo scalmanato Andrea e che adesso fa l’architetto, la scuola speciale a duecentocinquanta chilometri da casa e il ritorno a Lajatico, in provincia di Pisa, “il mio ombelico, il centro del mondo, il posto dove il 25 luglio ho organizzato un concerto sinfonico e stavolta farò l’attore, leggerò le poesie che ho scritto per il mio paese”.
Bocelli non vuole che il videomessaggio con la storia avventurosa della sua nascita sia considerato o utilizzato come “un intervento contro l’aborto: a parte le mie convinzioni personali, di fervente cattolico, io non combatto mai contro qualcosa, io combatto per qualcosa e sono a favore della vita, così ho voluto aiutare, confortare, le persone che si trovano in difficoltà e che a volte hanno solo bisogno di non sentirsi abbandonate: la forza della vita è dirompente, ma bisogna mettersi in ascolto, tenderle l’orecchio”. Lui, che non ama parlare di sé (“quando i miei bambini erano piccoli e mi chiedevano perché la gente mi salutava per strada rispondevo che non lo sapevo, e ho insegnato loro che la cosa più importante, per diventare uomini liberi nel giudizio, è l’umiltà”. Oltre allo studio del pianoforte, che rientra fra i doveri non negoziabili, “un giorno capiranno perché”), quindi svicola, si schermisce, bisogna insistere, ritentare, infine rinunciare, vuole invece raccontare della fede, “che mi ha dato la forza che ho, mi ha fatto trovare la ragione per fare le cose che faccio: se si va avanti per puro scopo egoistico, non funziona. La vita prima o poi ti presenta il conto, ma la fede mi dà la voglia di andare avanti, credo che mi faccia cantare meglio, mi aiuta quando sono stanco, è più efficace del ginseng”.
Da adolescente si era distratto, racconta, ma poi ha cominciato a leggere: “Le confessioni” di Lev Tolstoj, ‘I pensieri’ di Blaise Pascal sono stati e sono ancora libri fondamentali per me, li ho letti e riletti nel corso della vita, anche nei camerini nelle lunghe attese prima dei concerti, e in aereo dove passo la maggior parte del mio tempo, e ci ho sempre trovato cose nuove”. (Anche “Le confessioni” di sant’Agostino, anche la Bibbia e i Vangeli). Tra gli scrittori contemporanei (Bocelli è un appassionato di letteratura russa e francese dell’Ottocento), gli piace molto Niccolò Ammaniti. I figli lo chiamano, manca poco alla partita, col sole in fronte saluta e va.
«Il Foglio» del 16 giugno 2010

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