06 giugno 2010

Il numero uno della Apple sgrida i blogger puzzoni e prepara la sua super battaglia contro Google

Evviva Steve Jobs
di Claudio Cerasa
Siamo arrivati in redazione, abbiamo acceso i computer, abbiamo aperto le agenzie, abbiamo curiosato tra le ultime notizie e abbiamo scoperto con piacere che l’allegra sputtanopoli a disposizione permanente degli allupati curiosoni internettiani da ieri mattina ha un nuovo nemico: Steve Jobs. Dichiarazione di guerra numero uno: “Non voglio che ci trasformiamo in una nazione di blogger”. Dichiarazione numero due: “Credo nei media e nei contenuti delle notizie”. Dichiarazione numero tre: “Penso che oggi la gente voglia pagare per avere contenuti”.
La rabbia genuina di uno degli uomini più amati del pianeta contro le disgraziate pulsioni diffamatorie di una parte consistente della così detta blogosfera arriva giusto pochi mesi dopo che un allarme simile era stato lanciato in mondovisione dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama (“Sono preoccupato per la direzione delle news nella blogosfera: con opinioni senza controllo sui fatti e con persone che urlano una contro l’altra, prive di comprensione reciproca”). Ma arriva soprattutto dopo un clamoroso sfogo di Jobs proprio qualche giorno fa, quando all’una di notte del 14 maggio il re di Cupertino si ritrovò nella sua casella di posta elettronica il commento polemico di un blogger americano – Ryan Tate – critico per il contenuto del messaggio pubblicitario scelto per promuovere l’ultimo arrivato in casa Apple: l’iPad.
“Se Bob Dylan oggi avesse vent’anni definirebbe seriamente l’iPad una rivoluzione? La rivoluzione vera è la libertà. E un dispositivo del quale la società controlla ciò che si può fare e cosa non si può fare non può garantire in nessuno modo la libertà”. Pochi minuti dopo, ecco la risposta sdegnata di Jobs: “La libertà che offriamo è quella da programmi che rubano dati privati, che uccidono la batteria e dal porno. Forse ti fidi troppo di alcuni blog malinformati”. Come capita spesso quando due cittadini decidono di inviarsi delle e-mail private, la conversazione doveva rimanere riservata ma il blogger americano, convinto probabilmente di appartenere a quella ristretta cerchia di blogger a cui piace enormemente autodefinirsi “scomodi”, non ha resistito, e fottendosene della privacy ha premuto un pulsantino e ha messo tutta la chiacchierata a disposizione dei suoi lettori. E Jobs naturalmente si è infuriato.
Certo è che dietro le significative parole offerte ieri dal numero uno della Apple alla conferenza “All Things Digital” organizzata dal Wall Street Journal a Rancho Palos Verdes, a sud di Los Angeles, c’è però anche qualcosa di più: qualcosa che riguarda una più generale battaglia combattuta da Jobs contro i giganti di Google anche sul tema delicato del futuro del giornalismo. Nel mondo delle nuove tecnologie, si sa, oggi nessuno ha voglia di passare per il malvagio avvoltoio pronto a spolpare da un momento all’altro il cadavere dell’industria dell’informazione, e così mentre il motore di ricerca più famoso del mondo viene sempre più spesso accusato di fare concorrenza sleale agli editori sfruttando in modo scorretto contenuti di proprietà altrui, ecco, dall’altro lato a Steve Jobs sembra essere stato assegnato il ruolo di garante planetario dell’inviolabilità dell’universo della carta stampata.
E il fatto che Steve dica – lo ha fatto anche ieri – di preferire una nazione in cui i vecchi media di qualità riescano a esorcizzare il rischio di ritrovarsi da un momento all’altro in una nazione fatta a immagine e somiglianza dei blog e il fatto che il capo di Apple sostenga ormai apertamente che l’iPad costituisce un nuovo modello di business che darà la possibilità ai giornali di adeguarsi agli scenari dell’era digitale, dimostra che in questa inedita posizione di nuova messia dell’editoria all’attacco dei blogger puzzoni il mitico Jobs sembra sentirsi a suo agio.
Ma questa gustosa guerra contro Google offre però anche uno sfizioso retrogusto culturale. Perché la robusta insofferenza del numero uno della Apple contro le internettiane violazioni della vita privata suona anche come un guanto di sfida lanciato a Eric Schmidt: il capo di Google che dopo essere finito sotto l’occhio dei garanti di mezzo mondo (a causa di un servizio chiamato Google Street View da molti considerato troppo invasivo) si era recentemente difeso con queste parole choccanti: “Chi desidera salvaguardare così tanto la privacy evidentemente ha qualcosa da nascondere”. E che ci sia una certa tensione nei confronti dei massimi dirigenti di Google, il numero uno della Apple lo ha fatto capire anche ieri mattina, quando alla domanda di una giornalista del Wall Street Journal che gli chiedeva conto di cosa diavolo stesse succedendo con Google (“Hey Steve, come sono i tuoi rapporti?”) Jobs ha risposto con una battuta tanto imbarazzata quanto chiara. “Ehm… bene grazie, ho davvero una fantastica vita sessuale”.
«Il Foglio» del 3 giugno 2010

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