09 giugno 2010

Il marxismo di Gramsci e la religione

di Augusto del Noce
Gramsci: marxismo per l'Occidente
Quale posto assegnare a Gramsci tra i teorici occidentali del comunismo? Un fatto è incontestabile: tra i teorici occidentali del comunismo, il solo Gramsci ha definito una linea politica capace di riuscire nei paesi occidentali. Poiché per il marxismo il filosofo, lo storico, il politico sono indistinguibili, poiché il criterio di verità è posto per il marxismo nella verifica storica, sembra legittimo concludere da ciò che si deve vedere nella posizione gramsciana anche lo sviluppo più rigoroso che il marxismo abbia raggiunto. Finora, il marxismo non è riuscito a vincere in Occidente e con ciò a universalizzarsi La possibile vittoria della ‘battaglia di Occidente’ diventa il possibile segno della sua universalità. In ogni caso è con il comunismo gramsciano che dobbiamo fare i conti.

Posto questo, dobbiamo domandarci: esiste per tale forma di marxismo una possibilità di conciliazione, non solo con il cattolicesimo, ma con qualsiasi posizione di pensiero che ammetta una realtà trascendente? O invece il gramscismo contiene la risposta decisiva, però negativa, a ogni possibilità di dialogo?

Decisiva perché la negazione della trascendenza religiosa appare in Gramsci non come una sovrastruttura accompagnante, in ragione di errori storici commessi da credenti, o di abitudini laicistiche di pensiero, una pratica che in sé sarebbe neutrale, così da essere quindi destinata, come sovrastruttura a cadere, ma come una condizione, per dir così, trascendentale, nei riguardi degli aspetti teorici e di quelli pratici del suo pensiero.

Gli errori del neomodernismo marxista
Penso che questo si debba dire anzitutto per il rispetto dovuto alla lealtà intellettuale di Gramsci; a essa, così come alla coerenza e al rigore a cui tutta la sua opera è impostata. Confesso che mi ripugnano nel più ripulsivo dei modi quei discorsi ­ oggi purtroppo correnti tra i cattolici - secondo cui il compito del filosofo e del teologo sarebbe quello di cristianizzare le varie filosofie che hanno avuto successo (stranamente assumendo il successo a criterio di valore!); ponendosi, si dice, nel loro riguardo in posizione critica e non polemica, assumendo la loro ragione piuttosto che combatterla. Si dice che l'ateo nega in realtà un'immagine deformata e idolatrica di Dio, che ognuno è ateo rispetto a qualche falsa immagine di Dio, eccetera. Questo discorso è certamente ineccepibile, ma ha il torto di dimenticare quanto vi è di più essenziale: che chi nega Dio non può non sostituirlo con un idolo, e che il processo idolatrico è elevazione a totalità di una parte della realtà (non è un caso che l'epoca dell'ateismo è anche quella del totalitarismo, perché il totalitarismo è appunto l'ateismo politico). Che cattolici che non hanno dedicato al lavoro intellettuale la loro professione possano cadere in inganno e venire tratti a simpatie per il comunismo, è comprensibile; non lo è che nel loro errore trovino. incoraggiamento da parte di coloro che, come gli intellettuali, avrebbero il compito di illuminare le coscienze. Il tema del 'tradimento dei chierici', titolo di una fortunata opera pubblicata giusto mezzo secolo fa, ritorna.

Per venire alla radice dell'errore, che è poi quello di credere possibile un 'inveramento' del marxismo nel cristianesimo, occorre osservare che quel che è valido per le filosofie precristiane non lo è per le postcristiane; non lo è per il processo di pensiero il cui risultato è l'ateismo, fenomeno postcristiano e legato all'idea stessa di postcristianesimo, come sia io che Cornelio Fabro abbiamo posto in luce nei nostri libri sull'ateismo. Certamente il patrimonio del pensiero cristiano si accresce, e quel che c'era di virtuale nelle tesi tradizionali si manifesta in quel momento in cui la critica dell'errore porta a far luce sulla sua genesi. Che sia esistito, in un passato abbastanza recente, un pensiero cattolico piuttosto acritico perché deformava le posizioni che intendeva combattere, è vero; che esista oggi un pensiero cattolico maggiormente acritico nel suo tentativo di benedire o battezzare le idee che non soltanto sono state presentate come avverse, ma lo sono, è ugualmente vero. Non è detto che la deformazione a sinistra ­ meglio sarebbe dire le deformazioni dirette a conciliarsi i nuovi potenti perché un filo rosso unisce oggi la borghesia progressista radicale, che è anche la borghesia più ricca, e il comunismo - siano più valide delle deformazioni a destra.

Consentitemi di riferirmi alle discussioni dell'anno 1945, o di quelli che immediatamente lo seguirono (1) e riconoscetemi almeno un merito: l'aver avvertito fin da allora la potenza filosofica del marxismo, in tempi in cui nella filosofia cattolica italiana l'esclusione del marxismo dalla storia della filosofia (la sua riduzione a semplice ideologia atta a muovere le masse) era un dogma tacitamente, o non troppo tacitamente accettato; con le conseguenze che oggi si vedono. Si sconta l'errore che allora si compiva a destra ripetendolo a sinistra, e in proporzioni tanto maggiori: da un po' di tempo i cattolici non fanno che leggere coloro che vengono detti i grandi demistificatori e in testa, naturalmente, Marx e i suoi commentatori. Siamo davanti, si potrebbe dire, celiando un po' ma non troppo, alla sostituzione dell'antica patrologia con una 'patrologia tedesca' (Feuerbach, Marx, Freud). Cristianesimo vero, o adeguato ai 'segni dei tempi' sarebbe quel che rimane dopo che è passato attraverso le critiche di questi nuovi maestri; ed è naturale non ne rimanga nulla; la teologia che constata 'la morte di Dio' è il legittimo risultato.

Per Gramsci, assoluta incompatibilità marxismo - religione
Ricordo l'impressione che provai quando lessi il primo libro filosofico di Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, non appena fu pubblicato nel gennaio 1948.Quella d'aver trovato la conferma definitiva alla mia tesi. Lo ripeto anche oggi, con consapevolezza maggiore. C'è una verità di Gramsci. Questa: senza odio anticattolico, senza odio anticlericale (da vero storicista egli non odia), Gramsci ha però messo in luce l'incompatibilità e inscindibilità assoluta di cristianesimo e di marxismo. Se è vero, cioè, che il gramscismo rappresenta la forma più rigorosa di quel che si suole dire marxismo 'critico' rispetto così al marxismo letterale come al materialismo dialettico o Diamat, è altrettanto vero che questo marxismo definisce il suo avversario primo nel cattolicesimo, ancor più che nella borghesia (2).

La filosofia diventa religione atea
Passando alla dimostrazione, cominciamo col vedere in che senso il pensiero di Gramsci, pur essendo assai lontano dalla lettera, possa e debba dirsi marxista. Riflettiamo perciò sul punto seguente: il tratto unico che specifica il marxismo nell'intera storia del pensiero sta nel suo presentarsi come il pensiero moderno, nell'aspetto in cui si definisce laico, cioè come oltrepassante definitivamente il pensiero trascendente, che diventa religione. Il processo del pensiero immanentistico moderno era stato sempre, nell'età moderna, processo della religione verso la filosofia; col marxismo la linea direttiva viene invertita, diventa processo della filosofia verso la religione (3). In che senso? In quello di una concezione della vita che unifica gli intellettuali e le masse. È in questo senso che si esprime Gramsci quando afferma che "la forza delle religioni e specialmente della Chiesa cattolica è consistita in ciò che esse sentono energicamente la necessità dell'unione dottrinale di tutta la massa religiosa, e lottano perché gli strati intellettualmente superiori non si stacchino da quelli inferiori" (4). O, se vogliamo usare un altro termine, quel che distingue il marxismo dalle altre posizioni filosofiche moderne è la sua critica rivolta all'idea della religione come momento assoluto della vita spirituale, o anche rappresentazione della verità in forma simbolica e mitica. In conseguenza di questa negazione la filosofia si fa religione pur non perdendo il suo carattere secolare; e qui si ritrova il senso autentico di un termine che troppo spesso è stato usato, così da diventare logoro, ma che pure, bene inteso, ha una piena verità, quello di 'religione secolare'.
L'immanentismo radicale di Gramsci
Ora, è esattamente su questo punto che Gramsci è marxista. Oserei dire che lo è soltanto su di esso, e naturalmente su quel che esso comporta; e che lo svolgimento di questo tema centrale del pensiero marxista lo porta a eliminarne necessariamente altri, così da far pensare alla sua opera come a una ‘riforma del marxismo' simmetrica alla 'riforma dell'hegelismo' crociana o gentiliana; e di fatto non è un caso che la ricerca di un 'immanentismo radicale dopo l'hegelismo', unisca Croce, Gentile e Gramsci a tal punto che in una futura storia della filosofia questi tre filosofi saranno probabilmente studiati in uno stesso capitolo. Il tratto unitario è infatti lo storicismo, e il rifiuto del materialismo visto nell'accezione naturalistica (Gramsci scrive che nel termine 'materialismo storico' occorre che l'accento sia fatto cadere sull'aggettivo e non sul sostantivo). Tutti e tre convengono che il materialismo è una posizione di pensiero metafisico-trascendente: è la risposta negativa al problema dell'esistenza di Dio data dopo che si sono accettati i termini realistici in cui il problema veniva posto. Il realismo, cioè, 'autorizza' la domanda sull'esistenza di Dio: per reprimerla il comunista dovrà ricorrere a risposte filosofiche criticamente insufficienti o a metodi coercitivi (o agli uni e agli altri).
In altre occasioni ho scritto che la problematica filosofica del cinquantennio tra il 1890 e il 1940 è dominata in Italia dal tema dei rapporti di religione e di filosofia. Nelle filosofie di Croce, di Gentile e di Martinetti, per riandare ai maggiori, abbiamo in correlazione al rifiuto del soprannaturale, una frattura tra gli attributi di Dio; per cui Gentile guarda al Dio creatore, Croce al Dio provvidente, Martinetti al Dio redentore.
La decomposizione della religione
Il discorso può essere proseguito per quel che riguarda Croce, Gentile e Gramsci. Croce e Gentile, in termini diversi, intendono proporre una 'filosofia cristiana', una filosofia che sia cioè una religione demitologizzata. Fanno ciò perché guardano soprattutto al contenuto teorico della religione. In che cosa Gramsci dissente da loro? Nel rifiuto dell'idea della religione come philosophia inferior entro l'orizzonte di una veduta radicalmente immanentistica. Tuttavia non sarebbe neanche esatto parlare di completa irreligione. Gramsci appartiene al periodo 1890-1940 della filosofia italiana caratterizzato, nel versante laico, dalla decomposizione della religione in conseguenza del rifiuto del soprannaturale (5). Se Croce e Gentile mantengono momenti del contenuto teorico della religione e sono, a loro modo, 'filosofi cristiani' ma di una religione filosofica aristocratica, Gramsci guarda invece al momento sociale-politico della religione, al suo religare, stabilire un'unità tra gli intellettuali e i semplici, che realmente in quelle religioni filosofiche va perduta. In questo 'andare al popolo' passa da una prospettiva di pensiero ancora romantica, quale era quella degli idealisti italiani, a una prospettiva radicalmente illuministica. Ho scritto perciò altra volta che quella "soggettivistica filosofia della prassi" che egli sostituisce all'''oggettivistico materialismo storico" corrisponde rigorosamente all'attualismo, vissuto però in una disposizione spirituale romantica, come in Gentile, ma in una disposizione illuministica.

L'illuminismo gramsciano
Sottolineiamo 'disposizione illuministica': perché la posizione di Gramsci rispetto alla religione è sotto un aspetto assai più negativa di quella dello stesso Marx. Avrebbe Gramsci, infatti, sottoscritto alla frase marxiana secondo cui "la religione è un sospiro dell'anima in un mondo senz'anima"? Con essa Marx sembra assegnare una positività alla religione in un mondo borghese; soltanto, aggiunge che questo mondo borghese deve necessariamente andar distrutto; perché pensa all'estinzione della religione come un risultato, che seguirà naturalmente, come conseguenza necessaria, all'avvento della società senza classi.
Il passaggio di Gramsci dall'oggettivistico materialismo storico alla soggettivistica filosofia della prassi fa sì che la scomparsa della religione trascendente si configuri per lui alla maniera illuministica, come la condizione di una società unificata. In altri termini: il comunismo è la condizione perché si attui in pieno quel programma di laicizzazione totale, che era già stato affermato dal radicalismo borghese. Il carattere 'pedagogico' formalmente democratico, di 'guerra di posizione', che egli assegna alla rivoluzione nei paesi occidentali non è un suggerimento tattico, ma consegue a questa diversa interpretazione della religione.
La prospettiva generale di Gramsci
Ricostruiamo perciò rapidamente la sua prospettiva generale: all'opposizione 'capitalismo' o 'borghesia' e proletariato egli sostituisce fondamentalmente quella di 'concezione trascendente della vita' e 'concezione immanentistica e moderna'. Riferiamoci, come prova, a un suo testo essenziale: "Una delle maggiori debolezze delle filosofie immanentistiche in generale consiste appunto nel non aver saputo creare un'unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i 'semplici' e gli intellettuali. Nella storia della civiltà occidentale il fatto si è verificato su scala europea col fallimento immediato del Rinascimento e in parte anche della Riforma nei confronti della chiesa romana. Questa debolezza si manifesta nella questione scolastica in quanto dalle filosofie immanentistiche non è stato neppure tentato di costruire una concezione che potesse sostituire la religione nell'educazione infantile, quindi il sofisma pseudo-storicistico per cui pedagogisti areligiosi (aconfessionali) e in realtà atei, concedono l'insegnamento della religione perché la religione è la filosofia dell'infanzia dell'umanità che si rinnova in ogni infanzia non metaforica. L'idealismo si è anche mostrato avverso ai movimenti culturali di 'andata verso il popolo'..." (6). Nel pensiero di Gramsci, la separazione tra le classi segue al permanere entro la forma immanentistica di pensiero dell'idea della religione come "filosofia per il popolo" .
Il rigoroso ateismo del marxismo
Mi sia consentito di richiamarmi qui a quel che scrivevo nel 1964: "Per il marxismo la filosofia, in quanto puramente razionale, non può farsi religione che in quanto rigoroso ateismo. Se la religione trascendente avesse infatti una sua perenne verità, espressa sotto forma di 'rappresentazione' essa dovrebbe venire conservata nella filosofia, il compito del filosofo configurandosi, alla maniera hegeliana, come quello di chi deve cercare il corrispondente in termini di pensiero della rappresentazione. Si arriverebbe quindi di nuovo all'oltrepassamento della religione nella filosofia, quindi al movimento di pensiero dalla religione alla filosofia, anziché dalla filosofia alla religione. Ma la conservazione della religione nella filosofia significa pure distacco del filosofo dalle masse; e ciò porta a una contraddizione vissuta, perché la posizione aristocratica a cui il filosofo si trova costretto, lo porta all'impossibilità della comunicazione con le masse, quindi alla giustificazione della disposizione machiavellica nel loro riguardo, quindi alla negazione della loro umanità; cioè dell'aspetto vitale della religione, l'affermazione dell'universalità umana. Si vede da ciò che religione e ateismo sono nel marxismo così legati che l'attenuazione del momento ateo coincide con quella del momento religioso e quindi del momento etico, non potendosi parlare per il marxismo di 'morale autonoma'. Perciò bisogna dire che c'è nel marxismo questo aspetto di verità: posta la negazione iniziale del soprannaturale, la religione, in quanto vita, potrà riaffermarsi soltanto come radicale ateismo. Affermazione che, posta l'ipotesi, è assolutamente innegabile. La filosofia, col diventare religione, assume l'aspetto di verità liberatrice; la filosofia della storia marxista si fa religione in quanto si presenta come forma di pensiero agonistico contro la forma giustificativa del pensiero hegeliano, visto implicitamente come l'aspetto ultimo della religione ridotta a forma di 'teodicea'. Ma questa liberazione è del tutto mondana, storica e sociale; quindi identità di religione e di politica. Quindi quell'idea di rivoluzione la cui genesi non si spiega con una reminiscenza dell'idea escatologica giudaico-cristiana, ma con l'essere il termine ultimo della riabilitazione illuministica della natura umana. Perciò la compiutezza dell'hegelismo si identifica in Marx con la compiutezza dell'esigenza illuministica di una ragione attiva, capace di trasformare il mondo" (7).
Gramsci e Croce
Queste righe che, forse riferite al pensiero di Marx, possono sembrare dargli una flessione un po' idealistica servono certamente con precisione a definire il pensiero di Gramsci. Quanti ne hanno scritto - e ormai la letteratura su Gramsci forma un'intera biblioteca, anche se costituita da libri e da saggi di molto disuguale valore - hanno avuto il torto, a mio credere, di non insistere sulla funzione decisiva che esercitò su di lui, come stimolo alla sua formulazione decisiva, la lettura della Storia d'Europa nel secolo decimonono di Croce, apparsa nel gennaio 1932. Vi trovava un'idea di 'religione' intesa nel senso laico di "unità di fede tra una concezione del mondo e una norma di condotta conforme", e si domandava perché questa unità di fede dovesse ancora essere chiamata "religione" e non invece "ideologia" o addirittura "politica" (8). Croce aveva proposto in quell'opera che ha un'inflessione laicistica quale nessun'altra tra le tante che ha scritto (9), l'idea della" religione della libertà". Possiamo vedervi il punto di partenza di quell'organizzazione degli intellettuali che passò poi in mani marxiste o paramarxiste (10).
L'impressione che Gramsci ne ebbe fu straordinaria, e, per così dire, traumatica. Lo portò a ripensare tutto il suo passato; in gioventù egli era "andato verso Croce" come maestro di religione secolare (11); gli sembrava avvenisse ora che Croce, stimolato da quel che stava accadendo nel mondo di allora, andasse verso di lui. Il Croce precedente, il filosofo dei distinti, aveva affermato la distinzione tra filosofia e ideologia; riferendo la seconda all'attività pratica come strumento di azione politica. Ora, implicitamente vi rinunciava quando parlava della "religione della libertà" come di una "concezione di una realtà con una morale conforme", mostrando così di considerare 'religione' ogni filosofia, cioè ogni concezione del mondo, in quanto è diventata 'fede' cioè considerata "non come attività teoretica (dichiarazione di nuovo pensiero) ma come stimolo all'azione (attività etico­politica concreta, di creazione di nuova storia)" (12).
La critica a Croce
A partire da questo punto si chiarisce tutta la critica di Gramsci a Croce; la religione laica della libertà contrapposta alla religione trascendente con "fede religiosa opposta" deve oltrepassare la forma liberale sostenuta da Croce. Perciò egli scrive:
"Questa proposizione di Croce dell'identità di storia e di filosofia è la più ricca di conseguenze critiche: 1) essa è mutila se non giunge anche alla identità di storia e di politica (...) e, 2) quindi anche all'identità di politica e di filosofia. Ma se è necessario ammettere questa identità, come è più possibile distinguere le ideologie (uguali, secondo Croce, a strumenti di azione politica) dalla filosofia? (...) Le ideologie, anzi, saranno la 'vera' filosofia, perché esse risulteranno essere quelle 'volgarizzazioni' filosofiche che portano le masse all'azione concreta, alla trasformazione della realtà. Esse, cioè, saranno l'aspetto di massa di ogni concezione filosofica, che nel 'filosofo' acquista caratteri di universalità astratta, fuori del tempo e dello spazio, caratteri peculiari di origine letteraria e antistorica. La critica del concetto di storia nel Croce è essenziale: non ha essa un'origine puramente libresca e erudita? Solo l'identificazione di storia e di politica toglie alla storia questo suo carattere" (13). Croce è, cioè, a giudizio di Gramsci, il filosofo che guarda il mondo da una biblioteca, e cangia gli uomini in libri, per raggiungere piena coerenza, e l'umanità reale, lo storicismo deve incontrare il marxismo, nell'aspetto in cui è filosofia della prassi. Storicismo autentico e filosofia della prassi si identificano.
Colleghiamo questo passo a quello citato di anzi. Abbiamo che nella concezione immanentistica e storicistica, nella versione che ne dà Gramsci, la religione si risolve nella politica; o che la politica prende il posto della religione nella liberazione dell'uomo; il 'futuro' è completamente sostituito all’‘aldilà'. Questa politica identica alla filosofia non può realizzarsi che come immanentismo radicale. Importa la soppressione, nonché del problema, anche della desiderabilità dell'esistenza di Dio. L'eliminazione più completa dei postulati kantiani della ragion pratica. Rispetto al marxismo, si può dire lo laicizzi radicalmente attraverso l'attenuazione, o la tendenziale eliminazione, del momento escatologico (14).
L'ateismo radicale del comunismo gramsciano
Giunti a questo punto, dobbiamo domandarci se il gramscismo, ossia la riaffermazione del marxismo dopo 'la filosofia dello Spirito' italiana non contenga alcuni insegnamenti della più grande importanza. Anzitutto quello che la sola forma di comunismo che può oggi riuscire in Occidente è atea radicalmente, anche se, proprio perché atea, può rinunziare all'anticlericalismo. Non è però su questo punto, politicamente importantissimo, oltretutto perché a scrutarlo a fondo mostrerebbe il carattere clericale di certo cattolicesimo del 'dialogo' (15), che voglio portare l'attenzione. Piuttosto sul fatto che contiene implicita una critica decisiva di quella disposizione spirituale, diventata ormai da ruscello fiume, secondo la nota frase di Maritain, che è il modernismo religioso. Una delle tesi su cui più insistono i suoi assertori è quella che ognuno è ateo rispetto a qualche falsa immagine di Dio, ecc. Il coerente e rigoroso pensiero di Gramsci è una smentita di eccezionale importanza rispetto a questa tesi; esso intende chiudere infatti ogni via alla possibilità dell'affermazione di un 'aldilà' rispetto al mondo storico; il riconoscimento doveroso del rigore del suo pensiero fa tutt'uno infatti con quello che è impossibile cristianizzare le filosofie che hanno il loro punto di partenza nell'hegelismo. La via da seguire è l'opposta. Senza poterla svolgere qui in forma adeguata, tenterò tuttavia di delinearne la prima traccia.
Come ho cercato di dimostrare in altra occasione, Gramsci, credendo di incontrare Marx attraverso la sua critica della "filosofia speculativa" di Croce, incontra invece Gentile; e già il termine di cui, alterandolo, si serve sostituendolo a quello di "materialismo storico", "filosofia della prassi" è significativo (16). Ogni commentatore deve riconoscere la presenza in Gramsci di una serie di temi, legati tra loro in forma di connessione necessaria, che non soltanto rappresentano dal punto di vista letterale novità rispetto così al marxismo come al leninismo, ma neppure possono venire assimilati in alcun modo ai loro svolgimenti. Orbene, si può dimostrare come in ognuno di essi, Gramsci incontri l'attualismo. Normalmente si pensa che l'attualismo si trovi agli inizi del pensiero di Gramsci come punto di partenza (17), successivamente superato attraverso la riscoperta, dopo Croce, del marxismo; credo di aver dimostrato come invece esso si manifesti proprio nella conclusione, e come ciò avvenga per un processo necessario, anche se Gramsci non possa averne chiara coscienza.
Ma quale attualismo? Un attualismo separato dal rapporto tra religione e filosofia quale era stato posto da Gentile, dunque dalla sua interpretazione in termini di 'filosofia cristiana'. Questo non significa il passaggio a una posizione più critica, come se Gentile, nel presentare l'attualismo come 'filosofia cristiana' altro non avesse fatto che esprimere il suo attaccamento sentimentale a una tradizione famigliare; non avesse fatto altro che cercare di coprire, anche a se stesso, un distacco che pure era razionalmente inevitabile. Non è così: perdendo il suo carattere di 'filosofia cristiana', l'attualismo perde anche il suo criterio di verità che non può essere cercato altrove che nel rendere conto della storia della filosofia (secondo la prospettiva svolta soprattutto nel Sistema di Logica in cui viene situato il momento di verità di ogni posizione della filosofia occidentale, dai primordi della filosofia greca a oggi). Questo criterio di verità viene a mancare nel pensiero di Gramsci proprio nella misura in cui esso si presenta come rivoluzionario. È necessaria a questo proposito una considerazione; spesso Gramsci viene considerato come un rivoluzionario moderato.
La rivoluzione culturale gramsciana
In realtà, per quel che riguarda le intenzioni, egli intende portare il principio rivoluzionario alle conseguenze estreme, anche se la sua rivoluzione prende in primo luogo la sembianza di "riforma intellettuale e morale", nel senso che vuole operare nel profondo. Valga questo passo, spesso citato del resto, di fondamentale importanza: "L'ortodossia non deve essere ricercata in questo o quello dei seguaci della filosofia della praxis, in questa o quella tendenza legata a correnti estranee alla dottrina originale, ma nel concetto fondamentale che la filosofia della praxis 'basta a se stessa' (...). Questo concetto così rinnovato di ortodossia, serve a precisare meglio l'attributo di 'rivoluzionario' che si suole con tanta facilità applicare a diverse concezioni del mondo, teorie, filosofie. Il cristianesimo fu rivoluzionario in confronto del paganesimo perché fu un elemento di completa scissione tra i sostenitori del vecchio e del nuovo mondo. Una teoria appunto 'rivoluzionaria' nella misura in cui è elemento di separazione e distinzione consapevole in due campi, in quanto è un vertice inaccessibile al campo avversario. Ritenere che la filosofia della praxis non sia una struttura di pensiero completamente autonoma e indipendente, in antagonismo con tutte le filosofie e le religioni tradizionali, significa in realtà non aver tagliato i legami col vecchio mondo, se non addirittura aver capitolato " (18). Perduto il criterio della 'conservazione' delle verità della storia, lo storicismo nel farsi rivoluzionario perde il diritto di affermarsi come verità, nell'atto stesso che non può presentarsi che dichiarandosi come elemento di completa scissione; ma, in questa perdita di verità lo storicismo rivoluzionario si riduce a 'ideologia', proprio in quel senso di strumento di azione politica che Gramsci intendeva criticare, o di disciplina razionale di una norma di condotta ai fini dell'efficienza pratica.
Molte cose si potrebbero qui osservare, e viene in mente una folla di pensieri. Ammettiamo, come semplice spunto, accennando in forma di allusione a temi della più grande importanza, ad alcuni tra essi. Uno è quello della coincidenza, o correlazione necessaria, tra il passaggio dal pensiero in termini di verità (o filosofia) al pensiero in termini di ideologia (o di potere) e l'avvento del totalitarismo. Un secondo, se contro ogni sua intenzione (giacché il sociologismo fu il massimo suo avversario) il gramscismo non segni la capitolazione del marxismo come filosofia rispetto alle 'scienze umane'. Un terzo, se la critica di Croce al marxismo - di essere un'ideologia e non una filosofia - possa acquisire validità soltanto dopo che sia stata riconosciuta la validità della critica di Gramsci nei riguardi della filosofia di Croce; col che si intende la tesi di estrema importanza che la critica del marxismo non può essere contenuta entro la riforma della dialettica hegeliana e che a prova di ciò può venire appunto addotta la filosofia di Croce, dato che la sua definizione complessiva può essere soltanto quella che vi vede il tentativo più rigoroso di critica del marxismo all'interno della riforma della dialettica hegeliana. Continuare Croce vuol perciò dire mettere in discussione quel principio assunto da lui come presupposto dell'immanentismo come dato ormai sottratto alla discussione. Un quarto, se non si abbia una curiosa eterogenesi dei fini; Gramsci con l'identificazione filosofica e ideologica, intendeva conferire alla filosofia la massima efficacia; di fatto ha finito col risolvere la filosofia nell'ideologia.
Ma per tornare all'argomento di cui particolarmente si tratta, il passo di anzi citato sull'ortodossia dice esplicitamente che la posizione del marxismo rispetto al cristianesimo è strettamente simmetrica a quella del cristianesimo rispetto al paganesimo. La tesi non era certo nuova al tempo in cui Gramsci scriveva, o anzi aveva già una lunga storia; tuttavia è stato Gramsci a portarla alle conseguenze estreme, dato che l'ha fatta coincidere con quella dell'autosufficienza della filosofia della prassi come teoria rivoluzionaria.
La critica storicistica del cattolicesimo
Il complesso delle tesi qui enunciate può stupire, dati i giudizi correnti sul gramscismo come marxismo 'aperto' o 'moderato', criticato anzi dai suoi avversari di sinistra per la sua moderazione. Domandiamoci però: quale è il reale soggetto della storia italiana negli ultimi trent'anni? Possiamo definirlo in altro modo che non sia quello della rivoluzione quale 'guerra di posizione', adeguata ai paesi in cui la società civile è più sviluppata, secondo la linea teorizzata appunto da Gramsci? Certo, questa avanzata fu lenta, in ragione degli ostacoli da rimuovere; tuttavia procedette sempre, senza che le sia stata opposta una controffensiva culturale-politica veramente valida, e fu protetta da un sistema di alleanze che sempre ha funzionato, anche se non sancito da patti, con il laicismo e con il cattolicesimo progressista. Ora, come negare che in questi decenni si sia svolto il maggior processo di secolarizzazione delle menti e dei cuori, almeno per quel che riguarda la sua estensione, che la nostra patria abbia mai conosciuto?
Ciò è avvenuto, senza propaganda ateistica, o anzi neppure anticlericale diretta, è vero; e si può ricordare come a questa propaganda ateistica diretta Togliatti si sia sempre manifestato contrario, e abbia ancora ribadito la sua opposizione nel memoriale di Yalta. Domandiamoci tuttavia come si passi dalla concezione trascendentistica all'immanentistica della vita secondo Gramsci, e riflettiamo su questo testo decisivo: "Tutti hanno la vaga intuizione che, facendo del cattolicesimo una norma di vita sbagliano, tanto è vero che nessuno si attiene al cattolicesimo come norma di vita, pur dichiarandosi cattolico. Un cattolico integrale, che cioè applicasse in ogni atto della vita le norme cattoliche, sembrerebbe un mostro, ciò che è, a pensarci, la critica più rigorosa del cattolicesimo stesso e la più perentoria" (19).
Questo passo dimostra i caratteri della rivoluzione gramsciana; che esclude così la conquista violenta del potere, come l'argomentazione di tipo scientista, o almeno la limita. È una rivoluzione culturale di tipo storicista. Non è certo un caso che tra i termini che Gramsci predilige, vi sia quello di "riforma intellettuale e morale"; è un termine che egli riprendeva da Sorel, che a sua volta si rifaceva a un libro di Renan che ebbe gran successo negli anni dopo il '70 e che molto influenzò Francesco De Sanctis, il maestro a cui egli fa risalire il concetto del nazionalpopolare. Si può dire che Gramsci voglia rendere coerente attraverso il marxismo il progetto desanctisiano di "riforma intellettuale e morale", ricongiungendosi al laicismo 'integrale' di De Sanctis contro il laicismo 'moderato' di Croce e di Gentile.
Partito e scuola per la morte indolore della religione
Il cattolico deve arrivare ad abbandonare la sua religione, spinto dalla riflessione su giudizi apparentemente neutrali, che lo portino a vedere nel cattolicesimo o nella religione trascendente in genere una posizione ideale definitivamente oltrepassata dalla storia, così che non si può più viverla. La critica storicistica del cattolicesimo deve consistere nel portare alla consapevolezza della sua storicità; ma questa conversione alla convinzione 'laica' e 'moderna' della vita non deve venire ristretta ai pochi appartenenti ai gruppi superiori; deve essere estesa, attraverso il partito comunista, alle masse popolari. Di qui la polemica contro Croce, accusato di non aver promosso in Italia un Kulturkampf anticattolico; e nelle acri critiche contro Gentile, Gramsci sottolinea soprattutto l'aver rimesso l'insegnamento religioso nelle scuole primarie.
Questo Kulturkampf e la neutralizzazione dell'insegnamento religioso, nonché oggi le difficoltà in cui sono messe le scuole materne religiose nelle regioni comuniste, sono cose note a tutti. Quel che importa osservare è come in ciò si attui la rivoluzione comunista di tipo gramsciano, come la storia recente italiana realizzi un perfetto parallelismo filosofico-politico.
Ma non si potrebbe pensare che il secolarismo di Gramsci sia in realtà volto soltanto contro l'ateismo pratico e il cattivo cattolicesimo di coloro che si servono di Dio per i loro fini temporali, così che chi guarda oltre alla lettera possa ravvisarvi uno slancio destinato a infrangere le formule e andare più oltre? Discorsi di tal natura, diretti contro coloro che pretenderebbero 'fissare' una realtà in movimento, li sentiamo ripetere da tanti anni; ma, a quanto pare, mantengono la loro efficacia e riescono a convincere i cattolici del 'dissenso', o anche soltanto del 'dialogo'. Sia consentito a chi vi parla non ritenerli affatto convincenti; mosso a ciò anche dal rispetto che ha per l'organicità del pensiero gramsciano. Penso infatti che la coerenza del pensiero gramsciano sia tale da illuminare a contrario il senso della rinascita tomista promossa da Papa Leone XIII e tuttora in corso di elaborazione. Pensiamo al tema dei praeambula fidei. Che altro significa se non che l'accoglimento delle verità di fede presuppone una certa metafisica, una concezione dei princìpi primi sul reale, che è già presente nel senso comune e che il filosofo rende esplicita e difende?
L'inscindibilità fra filosofia e politica
Gramsci, per cui, non a caso, l'essenziale della riforma intellettuale e morale stava nella creazione di un nuovo 'senso comune', da sostituire a quello tradizionale orientato in senso teistico, richiama così i cattolici, non già a riformare il loro pensiero, per ottenere una sorta di concordismo che egli avrebbe sdegnato, ma a riprenderlo per scorgervi quello che hanno dimenticato (20).
Direi di più, che richiama a essi dal punto di vista storico e politico.
Ciò riporta a un tema che meriterebbe ampio svolgimento; quello che ravvisa nella storia del nostro secolo la lotta tra le concezioni generali della storia, inscindibilmente filosofiche e politiche, che erano già state proposte nell'Ottocento; aggiungendo che, mi si perdoni il bisticcio, la debolezza dei cattolici sta proprio nel non aver coscienza della forza di quella che essi avevano avanzato, e che, dopo lunga incubazione, trovò espressione nella rinascita cattolica promossa dal Pontefice Leone XIII, e iniziata con l'enciclica Aeterni Patris, nel 1879. Quanto poco i cattolici siano consapevoli di questa loro forza lo ha mostrato Gilson nel suo bellissimo libro Le philosophe et la théologie del 1960, osservando che se si leggono le principali encicliche di Leone XIII nell'ordine logico e non cronologico in cui egli stesso le ha disposte, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua elezione al pontificato, ci si accorge che "Leone XIII prende posto nella storia della Chiesa come il più grande filosofo cristiano del secolo XIX e uno dei più grandi di tutti i tempi", aggiungendo come sia curioso che "così pochi tra i nostri contemporanei, dico tra i cattolici, sembrino aver coscienza di questo fatto". I cattolici hanno infatti dimostrato di essersi accorti assai poco del carattere organico dell'opera leoniana. I vecchi politici cattolici leggevano la Rerum novarum come se fosse isolabile dall'insieme del Corpus Leonianum; coerentemente i nuovi, portando alle conseguenze ultime il difetto di questa linea, hanno del tutto trascurato di leggerla. Ora, la rinascita cattolica deve essere, secondo il pensiero di Leone XIII, inscindibilmente religiosa, filosofica e politica; 'politica', perché richiesta come necessaria per la salvezza anche temporale della società umana, ma questa politica deve appoggiarsi su una filosofia che sia a sua volta preambolo della fede. È avvenuto che l'unità di filosofia e di politica sia stata sentita perfettamente dai marxisti, e stia in ciò la loro forza; mentre non è stata sinora avvertita, se non in minima parte, dai cattolici.
Marxismo e mentalità borghese - radicale
Si aprirebbe qui un altro discorso a cui, in questa occasione, posso soltanto accennare; i critici di sinistra del marxismo (penso all'indirizzo bordighiano, e in particolare al libro di Riechers) hanno dimostrato come esso porti in realtà all'involuzione della rivoluzione comunista nel predominio della borghesia dello stadio del capitalismo avanzato, quanto a dire nella peggiore borghesia possibile sradicata da ogni subordinazione a valori (21). Il comunismo gramsciano rischia di fare da mediatore tra i rappresentanti del supercapitalismo e i tecnocrati e i burocrati della 'nuova classe' comunista. Questa dimostrazione che penso ineccepibile porta a domandarsi se l'utilità della rivoluzione culturale gramsciana non stia proprio nel dar l'occasione per la riscoperta, come dell'unico avversario che possa trionfarne - salvando insieme così i valori religiosi come la libertà individuale e nazionale - di quel pensiero della rinascita cattolica, che invece i cattolici sembrano aver dimenticato.
Un'ultima parola è opportuna, per concludere. È singolare la coincidenza tra la critica che debbono muovere al marxismo coloro che credono nei valori religiosi e quella che già gli hanno mosso i suoi avversari di sinistra. Gli uni e gli altri devono concordare nel designare il gramscismo come radical-marxismo, vale a dire come involuzione del marxismo nella mentalità borghese­radicale. Cioè, lo sviluppo occidentale del leninismo, e la coerenza di Gramsci al riguardo non può essere posta in dubbio, rappresenterebbe, nell'ipotesi del suo successo, a un tempo la chiusura completa al pensiero religioso - così da dar luogo a una 'politica della cultura' e destinata a risolversi di fatto in una coercizione intellettuale più pericolosa delle persecuzione fisica - e la sconfitta delle speranze escatologiche del comunismo.
Pure, è l'unica forma di comunismo che possa aver successo in Occidente, anche se esso debba realizzarsi nella forma che si è detta. Ciò non porta a ravvisarvi l'autoamputazione del marxismo? La considerazione critica del gramscismo può rivelarsi una delle vie migliori per ritrovare il pensiero della tradizione, nel senso più alto del termine, cattolica.
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NOTE
(1) Mi permetto di segnalare un fatto che ha oggettivamente importanza, anche se devo, per portarvi l'attenzione, contravvenire alla modestia. È singolare che nel mio scritto La non-filosofia di Marx e il comunismo come realtà politica, relazione presentata al primo Congresso Internazionale di Filosofia del dopoguerra, tenuto a Roma nel novembre 1946 (ristampata, senza alcuna variante, nel mio libro Il problema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna, 3a ediz., 1970, pp. 213-266), ricostruissi il marxismo filosofico (parlo di ricostruzione, perché i testi e i commenti in circolazione erano in quel tempo piuttosto scarsi) in una forma similissima alla gramsciana, benché degli scritti dal carcere fossero stati sino allora pubblicati solo pochissimi frammenti. La ragione della coincidenza deve essere ricercata nell'esperienza dell'ultimo decennio del periodo fascista; la particolare forma di scissione tra morale e politica a cui dava luogo portava a ritrovare il pensiero rivoluzionario esattamente nella forma gramsciana (questo punto dovrebbe essere fatto oggetto di indagine, come finora non è stato). In questo scritto sottoponevo successivamente a critica questo 'marxismo ritrovato', cercando di far emergere le difficoltà a cui andava incontro la versione rivoluzionaria dello storicismo.
Nel successivo saggio del 1948 Marxismo e salto qualitativo (ripubblicato in op. cit., pp. 267-292) criticavo i tentativi di conciliazione tra cristianesimo e marxismo, ravvisando la definizione insuperabile del loro presupposto nello scritto di Felice Balbo, Religione e ideologia religiosa (ora in F. Balbo, Opere, Boringhieri, Torino 1966, pp. 223-249). Tanti anni sono passati e i tentativi di conciliazione si sono moltiplicati, così da formare ormai una biblioteca. Pure resto del parere che il loro presupposto, generalmente dissimulato, apparisse invece in forma chiara in quel lontano scritto del Balbo, e fosse stato già da me adeguatamente criticato.
(2) Ciò è riconosciuto apertis verbis dal migliore conoscitore di Gramsci che ci sia in Francia, e gramsciano ortodosso egli stesso, H. Portelli: "Così si devono respingere le interpretazioni di certi commentatori di Gramsci che vedono nei Quaderni una sorta di 'Anti-Croce'. Una lettura approfondita dei quaderni del carcere mostra infatti che la Chiesa vi appare (...) come l'antagonista principale del partito rivoluzionario " (Gramsci et la question religieuse, Editions Anthropos, Parigi 1974, p. 15). Effettivamente, avvenne che Gramsci fu generalmente presentato come l'Anti-Croce nel senso che il suo pensiero reale si sarebbe espresso nella critica a Croce; nei riguardi della religione avrebbe accettato la posizione marxistica, o secolaristica in genere, senza farla oggetto di riflessione. Pochissimi hanno trattato perciò espressamente del suo pensiero religioso.
Credo questa prospettiva, a cui il Portelli ha il merito di sottrarsi, del tutto inadeguata. Quel che Gramsci intende dimostrare è piuttosto la coincidenza tra la rivoluzione filosofica immanentistica portata alle conseguenze estreme, e la rivoluzione politica comunista. In questo senso la Chiesa cattolica, e non Croce, è l'antagonista essenziale. Anche se si comprendono benissimo le ragioni pratiche per cui il Partito comunista italiano ha preferito portare l'attenzione sulla veduta che prima si è detto.
(3) Se si considera l'importanza del tema teologico nella filosofia classica tedesca, e gli inizi dei suoi grandi rappresentanti nella riflessione teologica, si può vedere nel marxismo la ricerca, operata dal filosofo, del surrogato di quella religione che il filosofo-teologo aveva dissolto.
(4) Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975, pp. 1380-81. Il passo appartiene a quelle note intitolate Alcuni punti di riferimento che formano la prima parte del quaderno undecimo, Introduzione alla filosofia, e che giustamente erano state poste, dai curatori della prima edizione, all'inizio del volume Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce; quali pagine introduttive, dunque, all'intero pensiero filosofico di Gramsci.
(5) Nessuno l'ha finora considerato sotto questo aspetto. L'esperienza di pensiero di quel cinquantennio fu prima sentita in termini trionfalistici, come se con la filosofia di Croce e di Gentile l'Italia avesse attinto un primato mondiale. Successivamente si passò all'eccesso opposto, il giudizio sul suo provincialismo, come se l'Italia, proprio attraverso questa filosofia, si fosse isolata, con illusioni provinciali di superiorità, dal processo mondiale del pensiero. Invece, una considerazione sotto l'aspetto che ho proposto porterebbe a riconoscere l'estrema significatività, sotto un riguardo che vorrei dire fenomenologico, di quel periodo della storia della filosofia che ha appunto in Gramsci la sua conclusione.
(6) Quaderni, p. 1381.
(7) Il problema dell'ateismo, cit., pp. 120-122.
(8) Quaderni, p. 1378.
(9) Su questo carattere insiste Gramsci, spiegando e giustificando la condanna pronunziata dalla Congregazione dell'Indice (la Storia d'Europa fu la prima opera di Croce messa all'indice): "In realtà la Storia d'Europa è il primo libro del Croce in cui le opinioni antireligiose dello scrittore assumevano un significato di politica attiva e avevano una diffusione inaudita" (Quaderni, p. 1298). Gramsci vede nella Storia d'Europa la continuazione del laicismo intransigente di quel frammento di etica, Religione e serenità, la cui lettura, ai primi del 1917, lo aveva portato a un innamoramento per il pensiero crociano. "È da ricordare il 'frammento di Etica' sulla religione; perché non è stato svolto? Forse ciò era impossibile (...). Non è possibile pensare alla vita e alla diffusione di una filosofia che non sia insieme politica attuale, strettamente legata all'attività preponderante nella vita delle classi popolari, il lavoro, e non si presenti pertanto, entro certi limiti, come connessa necessariamente alla scienza" (Quaderni, p. 1295). Questo passo ha grande importanza perché indica come Gramsci, particolarmente dal '32 in poi, sentì e interpretò se stesso: come colui che avrebbe continuato il migliore insegnamento di Croce, liberandolo dall'involuzione gentiliana, e rendendolo coerente attraverso il marxismo.
(10) La Storia d'Europa era infatti un appello agli intellettuali rimasti fedeli al migliore senso della 'modernità' contro i vari pericoli che venivano elencati; e sono da ricordare, rispetto all'idea di 'modernità' le parole con cui si chiude il primo capitolo: "E nondimeno diffuso risuonava dappertutto il grido della palingenesi, del 'secol che si rinnova': quasi saluto augurale a quella 'terza età', l'età dello Spirito, che nel secolo dodicesimo Gioacchino da Fiore aveva profetato, ed ora si chiudeva dinanzi all'umana società che l'aveva preparata e aspettata" (pp. 24-25).
(11) Dai passi ricordati nella n. 9 risulta come il Gramsci lettore della Storia d'Europa potesse ricollegare il se stesso d'allora al giovane che si era entusiasmato alla lettura di Religione e serenità. Aveva l'impressione di non essersi sbagliato in quel suo fervore giovanile per la cultura idealistica che tanto gli era stato rimproverato da Bordiga; perché soltanto la riaffermazione del marxismo dopo la cultura idealistica poteva portarlo a quella formulazione superiore capace di riuscire nei paesi occidentali.
(12) Quaderni, p. 1217.
(13) Quaderni, pp. 124J-42.
(14) Sul carattere escatologico del marxismo, come permanenza dell'idea della funzione redentrice delle sofferenze del giusto, trasposta in versione secolarizzata nel proletariato, molto si è scritto. Ma già nel passo del Problema dell'ateismo sopra ricordato, avvertivo come questo tema escatologico coesistesse con quello illuministico della riabilitazione della natura umana. In Gramsci, lo storicismo cancella l'escatologismo, e porta alle conseguenze ultime il momento illuministico.
(15) È effettivamente ipotizzabile una sorta di neoclericalismo, in cui confluiscano cattolici senza fede e comunisti senza fede; la mancanza di fede servendo da cemento.
(16) Per verità, il termine di filosofia della prassi era già stato usato da Antonio Labriola, come sinonimo però di materialismo storico, nel tratto che lo differenziava dal materialismo naturalistico. Chi, invece, lo intese in senso proprio, rivendicando la positività del marxismo come 'filosofia della prassi' dissociata dal materialismo fu Gentile ne La filosofia di Marx (1899). Gramsci segue l'uso che del termine fa Gentile, come è riconosciuto, ad es., dal maggiore studioso di Labriola, Luigi Dal Pane, (La polemica su Marx e le origini del neo idealismo italiano, in Rassegna economica, 1968, p. 15).
(17) È ormai giudizio acquisito quello sul clima attualista dominante nel torinese Ordine Nuovo, degli anni '19-'20. Ma il riconoscimento di ciò può portare alla tesi che segue come interpretazione complessiva dello svolgimento del pensiero di Gramsci: 1) quel che rimane dell'originaria esperienza attualistica è l'insistenza sul tema dell'unità della teoria e della prassi; 2) successivamente egli avrebbe accolto la critica mossa da Croce a Gentile in nome dello storicismo; 3) avrebbe però riaffermato contro Croce la tesi dell'unità della teoria e della prassi, dissociandola dall'idealismo e ritrovando così il marxismo (anche se permarrebbe nella sua opera qualche traccia dell'originario idealismo). Ora, questa impostazione di un processo da Gentile a Marx attraverso il Croce storicista, mi sembra errata: quel che Gramsci non poteva non ritrovare era l'attualismo, se pure in una versione rivoluzionaria, perché nella linea della filosofia della prassi dopo Hegel, l'attualismo rappresenta una posizione ulteriore alla marxista. È quel che credo d'aver dimostrato nel mio scritto Gentile e Gramsci (di prossima pubblicazione negli Atti del convegno romano promosso dall'Enciclopedia italiana in occasione del centenario della nascita di Gentile, 1975).
(18) E' da osservare come nella prima redazione di questo passo (quarto Quaderno, p. 435) compaia il termine di "materialismo storico" anziché quello di "filosofia della prassi". Questo conferma la tesi suesposta sulla decisività della lettura della Storia d'Europa; interpretandola dal punto di vista filosofico, Gramsci vi vede l'abbandono, implicito anche se non dichiarato, della distinzione tra filosofia e ideologia, e la conseguente smentita della sua polemica contro il marxismo, a cui Croce si trovava costretto. Al quaderno decimo su La filosofia di Benedetto Croce segue l'undecimo Introduzione alla filosofia in cui si opera la sostituzione dell'idea (e non soltanto del termine) di "filosofia della prassi" a quella di "materialismo storico". Gramsci, svolgendo Croce, pensa cioè di arrivare a un 'migliore marxismo' separato da quegli aspetti materialistici, economicistici, deterministici, contro cui la critica crociana era valida.
(19) Quaderni, p. 1344.
(20) Sulla base assolutamente ingiustificata di un giudizio sulla storia contemporanea, di cui sempre più gli studiosi di storia verificano l'erroneità, i nuovi modernisti hanno invece pronunziato la condanna della ripresa del tomismo della seconda metà dell'Ottocento (in realtà, più in generale, della filosofia cattolica dell'Ottocento, salvando soltanto i filoni proseguibili dal modernismo) come ripresa, anziché dell'intellectus fidei, della metafisica tomista, vista come 'sottocultura accademica' da 'collegio' (il che può essere anche vero per certa trattazione manualistica) per arrivare alla strabiliante conclusione che la proposta dell'unità storico-dialettica dei rapporti di ragione e fede, e quindi la condizione della ripresa del metodo dell'intellectus fidei e della definizione dei rapporti tra il cristianesimo e la cultura moderna, avendo l'occhio in particolare al marxismo, va cercata in Hegel. L'esempio di Gramsci serve invece a dimostrare come su tale orizzonte hegeliano non si possa arrivare che all'affermazione del postcristianesimo e al giudizio sul cristianesimo come realtà storica ormai definitivamente superata.
(21) Nella Storia d'Europa di Croce bisogna distinguere tra una parte caduca, la contrapposizione della "religione della libertà" per la quale "il fine della vita è nella vita stessa" alla concezione cattolica (pp. 27-28), tematica per cui giustamente si poté parlare di una sua riproposta della mentalità illuministica, e uno sguardo assai più acuto alla nuova disposizione spirituale che vizia l'età contemporanea e che ha origini del tutto moderne e che meriterebbe, come corruzione dell'idea di libertà, il termine, che peraltro non mi sembra che Croce abbia mai usato, di 'libertismo': "Che se alla libertà si toglie la sua anima morale, se la si distacca dal passato e dalla sua veneranda tradizione ... (si ha) in questa traduzione e riduzione e triste parodia che in termini materialistici compie di un ideale etico, sostanzialmente una perversione dell'amore per la libertà, un culto del diavolo messo al posto di Dio e che è pure un culto..." (pp. 341-342). Tale disposizione, allora ancora contrastata, ha avuto piena esplicazione negli anni recenti: in quelli in cui si è potuto parlare di un'egemonia culturale marxistico-gramsciana. Certamente la rivoluzione culturale che Gramsci aveva in mente non mirava al suo successo. Tuttavia a questo risultato non doveva portare l'infusione del motivo rivoluzionario, come caratterizzato dall'idea della scissione radicale, all'interno della proposta di una concezione immanentistica della vita; invece che alla soppressione della borghesia, a una borghesia nuova, orientata non già verso la conciliazione con gli ideali del passato, ma verso la loro negazione? Sarebbe qui da considerare la verità del giudizio di Bordiga sulla necessaria involuzione borghese del gramscismo. Storicamente (a parte, dunque, le intenzioni) se vogliamo ancora servirci del termine di borghese nel senso deprezzativo, esso esercita la funzione di mediazione per il passaggio da uno stadio all'altro del dominio borghese; per il passaggio allo stadio peggiore. Per il giudizio di Bordiga che assume validità soprattutto se letto con occhi non marxisti, cfr la sua ultima intervista, nella rivista Storia contemporanea, settembre 1973. Sulla linea di Bordiga sono condotti due tra i migliori studi su Gramsci: CHRISTIAN RICIHERS, Antonio Gramsci - Marxismus in Italien, 1970, trad. it., Thélème, Napoli 1975 (il migliore libro complessivo) e TITO PERLINI, Gramsci e il gramscismo, Celuc, Milano 1974.
Centro Romano Incontri Sacerdotali, documenti, Anno IV, n. 35, Roma febbraio 1977

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