06 giugno 2010

Il destino di un classico ignorato dai manuali

Torna il saggio critico di Dante Isella sulla lingua e lo stile dell’autore di «La desinenza in A»
s. i. a.
Da testimone della Scapigliatura, e quindi confinato al rango di maggiore dei minori, a caposcuola perfettamente inserito nella linea «lombarda» che include Carlo Maria Maggi, Giuseppe Parini, Carlo Porta, Alessandro Manzoni e approda infine a Carlo Emilio Gadda. È il destino critico di Carlo Dossi non ancora recepito dai manuali scolastici (e solo in parte dall’editoria libraria). Questo assestamento di prospettiva, che poi assomiglia a una inversione di marcia, si deve soprattutto al fondamentale La lingua e lo stile di Carlo Dossi di Dante Isella. Edito in origine dalla Ricciardi nel 1958, torna ora in una edizione fac simile realizzata da Officina libraria. I titolari del marchio milanese Marco Jellinek e Paola Gallerani, un tempo alla 5 Continents Editions, hanno le idee chiare e quindi stampavano e stampano solo il meglio del meglio della saggistica: dai maestri come Dionisotti a Isella fino agli allievi in procinto di raggiungere i maestri stessi, come il critico d’arte - e letterato raffinato - Giovanni Agosti. Inconfondibile la «linea»: conta la conoscenza a tappeto (e di prima mano) dei documenti, unica qualità che autorizzi grandi visioni d’insieme senza cadere nella sociologia un tanto al chilo o nella ostensione di opinioni spacciate per scienza tramite sfoggio di linguaggio accademico. Insieme col volume, nato dalla tesi di laurea di Isella, studente consapevole del magistero di Gianfranco Contini, Officina libraria offre un saggio di Niccolò Reverdini apparso sulle pagine della rivista «Strumenti critici» (Dante Isella e gli archivi Pisani Dossi, 2009). È insieme un ritratto di Dante Isella, infaticabile consultatore delle carte degli archivi Pisani Dossi, e un bilancio dei risultati di quegli studi.
Ecco così Carlo Dossi diventare «accertato classico italiano non già secondo un isolato gusto individuale, ma attraverso una severa e comprovata indagine etica e formale» (Reverdini). L’espressionismo è verificato e messo alla prova con un attento spoglio della lingua dell’autore, in particolare rivolta alle prime prove come L’altrieri o Goccie d’inchiostro ritenute in generale più convincenti rispetto alle seguenti (con la grossa eccezione de La Desinenza in A). I lombardismi (spesso «autorizzati» dalla tradizione letteraria) prevalgono sulle forme di altre regioni dialettali, forme personali, forme italiane poco comuni (prelevate spesso dal Vocabolario milanese-italiano del Cherubini), latinismi e francesismi. Isella giunge a concludere che il «regionalismo» in un autore «così aristocraticamente schivo» nulla ha a che vedere con «tanta scrittura popolareggiante dell’ultimo Ottocento» e nemmeno si può catalogare come «indulgenza compiaciuta a effetti da strapaese». Il pastiche, e dunque il dialetto, custodisce piuttosto la «proposta più segreta», il cuore della poetica dossiana. Il rifiuto della realtà non si risolve in «protesta programmatica», come negli Scapigliati, ma in lirica nostalgia. «Posta dunque una realtà-prigione, il modo di una privata salvezza è, come si è visto, in un trepido muoversi incontro in una stagione di felicità perduta».
«Il Giornale» del 6 giugno 2010

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