01 giugno 2010

I conflitti di potere che plasmano il mondo: «Homo sociologicus» di Ralf Dahrendorf

di Francesco Antonelli
Di fronte a questo testo ormai classico di Ralph Dahrendorf, pubblicato per la prima volta nel 1959 e riproposto in versione ampliata nel 1964 (a questa edizione, si riferisce la recente traduzione italiana di Armando Editore) dobbiamo subito chiederci se il paradigma dell'Homo Sociologicus, cioè dello studio della società come insieme di ruoli pre-determinati e condizionanti il comportamento individuale, sia ancora attuale. Daharendorf, scomparso l'anno scorso, ebbe il grande merito, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, di dare nuovo slancio ad una lettura «conflittualista» della società, invitando a guardare il mondo come il risultato di rapporti di forza e lotte di potere, situate innanzitutto nei nodi vitali delle grandi organizzazioni e istituzioni dello Stato interventista e del capitalismo fordista (anche se Dahrendorf non utilizzò mai quest'ultima categoria). Egli fu per tutta la vita, da studioso, politico, pubblicista, un liberal-democratico, un europeista, difensore delle libertà individuali quanto, sulla linea del primo Julien Benda, avversario di quegli intellettuali a la Sartre che, a suo dire, erano stati sedotti dal totalitarismo.
Al pari di molti altri studiosi liberali della sua generazione, come Raymond Aron ad esempio, Dahrendorf non perse però mai il senso, civico e scientifico, della collettività: tutta la sua opera ruota attorno all'analisi del rapporto individuo-società, nella profonda convinzione che nessuno è un'isola (come invece pensano i liberisti di oggi) e che la radice delle libertà è, innanzitutto, nel contesto istituzionale e sociale.
L'attrezzo del sociologo
L'Homo Sociologicus non è il fondamento ideologico del totalitarismo, come ritiene certa teoria sociologica contemporanea, ma il suo esatto contrario logico, culturale e politico. Dahrendorf ce lo propone in una triplice veste: l'Homo Sociologicus è un modello analitico neo-kantiano, un «attrezzo» che il sociologo utilizza per cogliere solo alcuni aspetti dell'essere umano, poiché l'uomo totale e reale eccede le rappresentazioni, sempre parziali, che possono darne l'economia, la psicologia e la sociologia. Questa parzialità corrisponde ai ruoli sociali, vale a dire alle «parti» che ciascuno di noi assume ed interpreta secondo quanto stabilito dalle regole extra-soggettive che vigono in un contesto sociale.
Il nostro agire è dunque, in parte, comportamento, cioè previdibile e condizionato dall'appartenenza sociale, dalle aspettative che gli altri nutrono nei nostri confronti e che sono garantite dalla presenza di sanzioni; ma anche contraddittorio e lacerato dall'agire di più aspettative di ruolo nella nostra vita (si pensi al contrasto tra le attese dei contesti lavorativi e quelle dei contesti famigliari). Parzialità, prevedibilità, oggettività: la sociologia di Dahrendorf è scientista. Dal punto di vista della critica esterna, essa racchiude in sé l'idea che nel capitalismo fordista e del welfare state del pieno Novecento, l'uomo singolo è debole rispetto a istituzioni e organizzazioni potenti, rinchiuso in percorsi di vita pre-determinati, ad un tempo funzionali alla catena di montaggio quanto fonte di conflitti e azioni collettive che hanno, nella molteplicità di appartenenze, la loro origine ma anche la possibilità della ricomposizione (Dahrendorf, ispirato anche dalla realtà della Germania Federale dell'epoca, è tra i primi a parlare di istituzionalizzazione del conflitto industriale e di separazione tra questo e il conflitto politico).
Tra i sociologi e gli intellettuali in genere, oggi, nessuno più parla del ruolo sociale come concetto forte ed in senso positivo: tutti parlano di soggetto, attore, individuo singolo perché questo è l'orizzonte culturale della nostra precaria vita quotidiana. Il ruolo sociale è visto come categoria debole e in senso negativo: l'attore sociale afferma la sua libertà, i suoi diritti, prendendo le distanze dai ruoli sociali, ancorandosi, allo stesso tempo, alla sua soggettività.
Il consumatore compulsivo
In tempi di capitalismo flessibile e globale i ruoli sociali non scompaiono: essi si moltiplicano e si fanno più evanescenti, si trasformano chiedendo all'individuo di mostrare e mettere in gioco la sua emotività, qui ed ora, come consumatore compulsivo. Di sottoporsi alle dinamiche immodificabili di un mercato impersonale e lontano, in cui fallimenti e percorsi biografici sono una responsabilità del singolo. I ruoli sociali esaltano non più l'appartenenza alle collettività ma il dominio della contingenza. Parafrasando il George Orwell di 1984, i ruoli del capitalismo fordista si fondavano sul divieto, sul «tu non devi» (come gli antichi assolutismi). Quelli contemporanei si basano sulla proattività, sul «tu sei» (come, appunto, i totalitarismi del Novecento). Non dobbiamo esagerare però nell'estremizzazione concettuale, indugiare sulla stessa strada percorsa da intellettuali, pur di grande spessore, come Marcuse: l'esaltazione dell'individuo è cosa ben diversa dal terrore e dalla violenza hitleriana.
Sulla base di questa considerazione, la sociologia contemporanea pensa la libertà come rovesciamento e valorizzazione della contingenza: azione di singoli soggetti che prendono le distanze dai loro ruoli falsamente liberi. Ricostruendoli, con un'azione «connettiva», di rete soprattutto, in nome del riconoscimento del loro Sé (come fa Alain Touraine) oppure della dimensione di una libertà responsabile (come fanno Archer, Magatti, Cesareo). Il problema, teorico e pratico, ancora insoluto in questo modo di procedere, è che l'attore (raramente) liberato sembra faticare a ricostruire una altro tipo di socialità e di collettività. Più bravo a prendere le distanze dalle varie forme di dominio che ad edificare, con gli altri, nuovi rapporti sociali. E dunque, sempre esposto al rischio di ricadere nelle braccia degli individualismi sistemici.
Leggere oggi Ralf Dahrendorf, pur nell'innegabile inattualità di molte sue posizioni, ci consente dunque di cogliere non solo quell'elemento, il ruolo sociale, da cui si dipana la discussione contemporanea sulla libertà. Ma anche di immaginare, attraverso il recupero del valore profondo delle norme sociali (a partire dalla legalità), della loro produzione extra-soggettiva, nuovi percorsi di ricostruzione della stessa libertà all'interno della collettività.

LIBRI RALF DAHRENDORF, HOMO SOCIOLOGICUS, ARMANDO EDITORE, PP. 160, EURO 14
«Il Manifesto» del 30 maggio 2010

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