01 giugno 2010

Gran Bretagna e Germania: “In Afghanistan combattiamo per i nostri interessi”

di Gianandrea Gaiani
In questi giorni due importanti figure istituzionali di grandi Paesi europei sono finiti nell’occhio del ciclone per affermazioni sulla guerra in Afghanistan confutabili ma che evidentemente turbano le anime candide dei tanti devoti del politically correct. Sono esempi paradossali ma purtroppo concreti di come in Europa e in Occidente si stia perdendo di vista il pragmatico realismo necessario a chi intende ricoprire ruoli di leadership.
Il nuovo ministro britannico della Difesa, Liam Fox, è finito sulla graticola per alcune recenti dichiarazioni che hanno provocato il forte risentimento delle autorità afgane e rischiano di minare le relazioni tra Londra e Kabul. In un’intervista rilasciata al Times, Fox aveva definito l’Afghanistan un “paese medievale”, precisando che “non siamo in Afghanistan per educare un paese rimasto al medioevo. Siamo lì perché il popolo britannico e i suoi interessi nel mondo non siano minacciati”.
Nulla di offensivo, ma la frase ha sinteticamente evidenziato che i miliardi di sterline e i 286 caduti in Afghanistan hanno un senso perché servono a difendere gli interessi nazionali, in realtà l’unico motivo per il quale si combattono le guerra divenuto però inconfessabile nell’era del buonismo e del politicamente corretto.
Molte le critiche piovute sul ministro da ambienti politici e intellettuali mentre il governo di Kabul si è risentito dimenticando che senza i britannici (e gli americani) semplicemente non esisterebbe. Un funzionario afghano ha accusato il ministro di “razzismo” aggiungendo minaccioso che ” purtroppo Fox quelle cose le pensa davvero e non è il solo. Londra e Kabul devono fare progressi o le cose saranno più difficili in futuro”. Che l’Afghanistan sia “rimasto al Medioevo” lo aveva ammesso in una conferenza anche lo stesso presidente Hamid Karzai e lo dicono del resto i fatti.
Analfabetismo oltre il 70 per cento, economia di sussistenza se si esclude l’oppio (unico genere esportato), società divisa in clan e tribù che applicano codici risalenti a secoli or sono, arretratezza totale in tutti i settori e assenza di infrastrutture ne fanno uno dei Paesi più poveri del mondo.
Pochi giorni più tardi a finire nella “bufera afghana” è stato il presidente tedesco, Horst Koehler, il quale ha affermato che le missioni di pace in Afghanistan e in altri Paesi servono anche a difendere interessi economici. In un’intervista alla radio Deutschlandfunk al rientro da una visita in Afghanistan, Koehler ha affermato che “un grande Paese orientato all’export come la Germania deve sapere che può essere necessario anche un intervento militare per difendere i propri interessi”.
In particolare, ha aggiunto, questi interessi riguardano “le libere vie di comunicazione commerciale, ma anche il contrasto all’instabilità regionale che sicuramente si ripercuoterebbero negativamente sulle nostre possibilità in termini di commercio, posti di lavoro e salari.
Immediata è arrivata la replica di Thomas Oppermann, responsabile amministrativo del Partito Socialdemocratico (Spd) al Bundestag: “Koehler danneggia l’impegno militare all’estero della Bundeswehr”, poiché in Afghanistan la Germania “non fa la guerra per gli interessi economici, ma per la nostra sicurezza”. Affermazione ridicola considerato che il concetto di sicurezza riguarda anche gli interessi economici e commerciali.
Ad esultare strumentalizzando la frase del presidente è stato invece il leader del partito di sinistra Linke, Klaus Ernst, secondo il quale Koehler “ha detto apertamente ciò che è impossibile negare”, in quanto in Afghanistan i soldati tedeschi “rischiano la vita per gli interessi volti all’esportazione di grandi gruppi industriali”.
Durissimo il giudizio del costituzionalista Ulrich Preuss, che ha definito “estremamente irritanti” le dichiarazioni di Koehler, dalle quali “traspare un accento imperiale, che ricorda gli imperialisti inglesi del XIX secolo, che difendevano con gli stessi argomenti la loro dominazione dei mari”.
Insomma, il solito slogan post-sessantottino tipico di chi vorrebbe imporre all’Europa il senso di colpa per il suo passato. Imbarazzata anche la reazione di Ruprecht Polenz (Cdu), presidente della Commissione Esteri del Bundestag, secondo il quale il presidente della Repubblica si è “espresso in modo un po’ ambiguo”:
Neppure il governo tedesco quindi si espone per difendere le dichiarazioni innocue, realistiche e ben motivate di Koheler. Il ministro della Difesa, Karl-Theodor zu Guttenberg, ha preso le distanze dal presidente dichiarando che ”gli interessi economici non sono la giustificazione della missione in Afghanistan”, anche se ha dovuto ammettere che la protezione delle rotte commerciali sarebbe invece una giustificazione valida. Val la pena ricordare che Guttemberg ha riconosciuto due mesi or sono che in Afghanistan è in atto una guerra. Dopo 42 caduti e otto anni di presenza militare tedesca a Kabul…
Un panorama avvilente. Come può una classe dirigente guidare Paesi che sono (o dovrebbero essere) tra le più grandi potenze economiche e militari del mondo se nega o si vergogna dei motivi per i quali invia le truppe in guerra? Esiste una ragione migliore della difesa degli interessi (politici, economici, strategici e commerciali) nazionali per mandare i soldati a combattere e morire?
«L'Espresso» del 31 Maggio 2010

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