22 giugno 2010

E l’Anticristo ispirò gli scrittori

Non solo Goethe e Dostoevskij: la figura biblica ha coinvolto pure autori insospettati, da Slataper alla Morante. Domani il punto a Venezia
di Pietro Gibellini
Sarà perché inquietante, sarà perché spiace ai falsi profeti che abbondano nella storia di ieri e di oggi, l’Anticristo è tra le figure bi­bliche meno studiate. A colmare questa lacuna intende contribuire il convegno che si tiene a Venezia (Au­ditorium Santa Margherita) da do­mani al 25 giugno, promosso dal La­boratorio di studi umanistici, com­posto da giovani di formazione lagu­nare, sotto l’egida di Ca’ Foscari e di altri atenei. Specialisti italiani e stra­nieri, emergenti e affermati, si con­frontano su questo tema a tutto campo: letteratura, cinema, arte, sto­ria, teologia, filosofia, psicoanalisi.
Diverso dal diavolo, l’Anticri­sto è il falso profeta, spesso as­sociato alla terribile bestia pro­tagonista dell’Apocalisse. Al diavolo, come all’Anticristo, saranno giustamente dedicati due capitoli nei prossimi volu­mi della Bibbia nella letteratu­ra italiana, di cui i primi due sono apparsi presso l’editrice Morcelliana. Recuperato da pensatori come Nietzsche e Jung, Heidegger e Matte Blan­co, e da scrittori come Pascoli e Ungaretti, Pasolini e Sciascia, in età contemporanea è arriva­to perfino ad assumere connotati po­sitivi, diventando il nemico della Chiesa temporalista o corrotta im­personata dal Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov. È ritornato at­tuale anche come strumento per in­terpretare i rapporti interpersonali, dalla coppia alla famiglia, dalla so­cietà all’ideologia politica (Hitler, Stalin), fino alla storia contempora­nea, come nel recente e assai discus­so film di Lars von Trier. Grazie an­che a queste interpretazioni non convenzionali, si torna a vedere la Bibbia come libro fondativo della cultura occidentale, necessario per comprendere il nostro passato ma anche vitale per rispondere ai nostri interrogativi sul presente e sul futuro. Le prime relazioni mirano a illumi­nare i fondamenti teorici dell’idea di Anticristo. Dall’interpretazione cri­stiana, secondo cui l’Anticristo è so­prattutto il vicolo cieco, l’inganno, il fallimento, persona nel male e male­in- persona, si passa alla lettura e­braica, nella quale esso si sovrappo­ne all’Antimessia, e a quella islamica, dove si contamina con il Dajjal. La psicoterapeuta Giuliana Fabris riflet­te ad esempio sul libro di Daniele, soffermandosi sulla statua del sogno di re Nabucodonosor e sulla figura della bestia, per cogliere, alla luce delle teorie di Klein, Bion e Matte Blanco, lo sforzo umano di farsi mente, forma logica. La coscienza, nel suo tentativo di ascendere al divi­no, troverebbe nell’Anticristo l’osta­colo che la dirotta su una forma sto­rica, limitata o distorta di religio. Su presupposti psicanalitici si fonda pu­re la rilettura della Storia di Elsa Mo­rante, proposta da Alessandro Cin­quegrani, l’ideatore del convegno. Il romanzo, a suo tempo criticato an­che per ragioni ideologiche, è fitto di situazioni ed espressioni bibliche, e in particolare dell’Apocalisse. Il per­sonaggio di Davide Segre, ebreo cat­turato e poi fuggito dai nazisti, prima non violento, poi spietato e vendica­tivo partigiano, alla fine del libro combatte una lotta contro il Potere e la Storia, come un Anticristo contro Dio, che soccombe, come i deboli nel mondo. Sembra che quasi nessun pensatore, scrittore, critico o artista sia esente da queste suggestioni. Co­sì dalla filosofia medievale e dai commentatori danteschi, si attraver­sano gli scrittori moderni, la critica letteraria di Croce e Debenedetti, ma anche l’arte di Tintoretto e il cinema dei fratelli Coen. A seguire poi il sen­tiero strettamente letterario lungo il filo della parola-guida, gli affiora­menti sono pochi ma significativi.
Nel Medioevo, naturalmente, la menzione è propria e documentata: dal San Brandano ai commentatori di Dante); poi il termine si carica di ambiguità, fra condanna e ammira­zione, nei racconti piccanti e nella poesia burlesca. Anticristo, nel No­vellino di Masuccio, è un frate don­giovanni che seduce una pia vergine facendole credere che concepirà il quinto evangelista (chi non ricorda il bel libro di Mario Pomilio?); e Nic­colò de Rossi spera nell’Anticristo per tornare ai piaceri delle bische e delle alcove. Il termine si associa pre­sto alla polemica contro la Chiesa mondana, da Severo Jacopone Sarpi a Campanella. E quando nei tempi secolarizzati la parola si lessicalizza come semplice epiteto, non taglia mai del tutto il cordone etimologico: anticristi sono, per Don Abbondio, i lanzichenecchi protestanti; e il laico Porta usa una volta sola il termine, ma pour cause: lo fa per bocca della Ninetta del Verzee, indotta a prosti­tuirsi dall’uomo che ora le toglie an­che l’ultimo bene (materiale e mora­le) conservato fino allora, la croce d’argento che porta al collo: «Ciappa antecrist, / deggià ch’eet mangiaa el rest, / mangia anca quist». «Antecri­sti» si chiameranno gli scapigliati op­ponendosi, nei versi dell’alcolizzato Emilio Praga, per contrapporsi al «vegliardo» Manzoni e al rosario del­le nonne: salvo poi ricredersi, come spesso accade. Per i cacciato­ri di novità, viene presentato da Roberto Norbedo un dia­logo inedito in cui Scipio Sla­taper mette a colloquio Mefi­stofele con un «uomo», come in una rivisitazione delle Ope­rette morali di Leopardi con un supplemento di sapore a­maro attinto all’Anticristo di Nietzsche e un ammicca­mento a Goethe («Satana, ti prude Faust?»): Il dialogo ver­te sulla «natura del dolore»; ma Mefistofele appare qui in­capace di soddisfare la sete conoscitiva dell’uomo: «Io curo chi si limita a se stesso» confessa; e aggiun­ge: per gli altri «mi son dovuto ac­contentare d’erigere un igienico o­spizio con riscaldamento centrale e cristalli armati alle finestre». Questo cultore di egoismi e carceriere tecno­logico finisce dunque per assomi­gliare più all’Anticristo che al dèmo­ne goethiano. Diavolo, Anticristo e, aggiungiamo, Vitello d’oro: figure de­gne di un convegno scientifico, certo, ma temi che devono o dovrebbero interessare anche la coscienza vigile di ogni cristiano, di ogni uomo insi­diato dai falsi profeti.
«Avvenire» del 22 giugno 2010

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