01 giugno 2010

Dal Rodotà garante della Privacy al Rodotà garante degli origliatori

“Volto nuovo” delle piazze viola, il prof. a comizio nei teatri
di Marianna Rizzini
Può ben capitare (è capitato) che questo giornale magari non ci vada leggerissimo nella tutela del colletto bianco intercettato. E può ben capitare (capita) che l’ex garante della Privacy, professor emerito Stefano Rodotà, magari non ci vada leggerissimo nella difesa dell’intercettante – all’occorrenza senza guardare in faccia l’amata privacy (secondo Rodotà c’è privacy e privacy, e quella del ddl Alfano è “truffa” e “ipocrisia” quando non “alibi”, a dir poco).
C’è privacy e privacy, e l’ex garante della Privacy – insignito a Washington, nel 2009, dell’International Privacy Champion Award – lungi dal diventare, come un osservatore distratto potrebbe credere, il paladino dei difensori a oltranza della privacy, si è fatto, piuttosto, fiore all’occhiello del movimento pro intercettazioni. Come neppure il più nuovo dei volti nuovi, ricoperto di applausi da attore mentre incede, spedito e imbarazzato, lungo i corridoi del teatro Quirino, in mezzo a cartelli inneggianti ai “partigiani del Terzo millennio”, il pacato Rodotà, gentiluomo d’altri tempi che nel tempo libero volentieri passeggia al braccio della moglie tra rovine e librerie, oggi si spende generoso su questo e quel palco, contando i giorni effettivi di mobilitazione (ventitré) e rallegrandosi se “finalmente” l’opinione pubblica s’è desta.
Senza sosta si rammarica, il professore, di non vedere “abbastanza manifesti dei partiti”. Senza sosta loda la rivolta “dell’opposizione parlamentare”. Senza sosta prefigura “forme di disobbedienza civile” e misura l’ampiezza della crepa sulla superficie “del meccanismo sondaggio” – ovunque vada in scena un comizio di protesta contro il disegno di legge sulle intercettazioni c’è il professor Rodotà che dice “non siamo carne da sondaggio”, per poi passare a illustrare “la soluzione che non metteva a rischio né i principi né i diritti: distruggere, d’intesa tra giudice e avvocati delle parti, i contenuti delle intercettazioni relative a persone estranee alle indagini o irrilevanti; conservare in un archivio riservato le informazioni di ancora dubbia rilevanza; pubblicare, una volta portati a conoscenza delle parti, gli atti di indagine e le intercettazioni rilevanti”.
“Ma l’obiettivo era diverso”, dice il professore, nonché ex parlamentare Pci-Pds, e allora meglio intercettare intercettare e intercettare (e pubblicare), se non si vuole che l’Italia scivoli verso un “regime” “per erosione lenta” e in spregio del principio “conoscere per deliberare” – e ogni volta che l’ex garante lambisce Luigi Einaudi scrosciano gli applausi degli astanti, innamorati dell’accorato Rodotà post authority, tutta un’altra storia rispetto al Rodotà dell’authority (e anche rispetto al composto Rodotà d’antan, quello della rivista “Pace e guerra”).
Con cipiglio timido, falcata ampia e voce che fa su e giù tra acuti e bassi – gli acuti sottolineano il pericolo per la democrazia e per l’articolo 21 – il Rodotà di lotta va a “Ballarò”, non si perde una piazza, agguanta il microfono, lancia appelli, arringa le folle e affronta la ribalta, sempre più addentro all’entourage intellettuale di area Flores D’Arcais e sempre più addetto all’attività oratoria davanti a platee che esultano e si esaltano alla vista dell’uomo un tempo noto, da garante, per il famoso “decalogo anti telecamere selvagge” e per la massima “l’utilizzo dei mezzi non deve essere eccessivo rispetto allo scopo” (guai a piazzare l’occhio elettronico al minimarket senza avvertire il cliente, anche a costo di non poter documentare lo scippo alla vecchietta).
Ed ecco che, in nome della democrazia, dell’Europa, dell’America, del primo emendamento e del cittadino informato, un “sì” di Rodotà al grande orecchio intercettante (e pubblicante) può ben comparire accanto all’antico e categorico “no” di Rodotà al “Grande Fratello” – ché il professore, nel 2000, usava spesso metafore orwelliane per motivare la stretta sulla telecamera condominiale (non si travalichi nella ripresa dello spazio antistante il cancelletto, e non si indulga in primi piani, per carità), e chissà se a Orwell sarebbe apparso orwelliano un ex ministro della riservatezza che si adopera perché si intercetti a spron battuto. Ma il professore, ormai lanciato sulle bacheche dei popoliviola, dice di capire “chi rifiuta la privacy che in realtà vuole garantire il potere” e procede a suon di citazioni del giudice Louis Brandeis (“in democrazia la luce del sole è il miglior disinfettante”).
«Il Foglio» del 31 maggio 2010

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