14 giugno 2010

Come prevedere le crisi del futuro

di Ettore Gotti Tedeschi
La Bibbia dice che l'uomo è stato creato «ut operaretur» («perché lavorasse»), certamente; ma sono anche convinto che sia stato creato perché prima «pensasse». Negli ultimi tempi sembra che si sia notevolmente ridotto il gusto di pensare il «perché» delle cose, concentrandosi invece sul «come» farle. Abituarsi a pensare il perché migliora anche la capacità previsionale di fatti economici, perché permette di intendere meglio quali variabili sono fondamentali. Un prestigioso premio Nobel per l'economia come Vernon Smith, ospite di un forum al Sole 24 Ore, alla domanda «Si poteva prevedere la crisi?» ha risposto: «Questa crisi non era prevedibile».
Questa ammissione onesta e umile - sottoscritta da un Nobel - la dice lunga su ciò che è carente per poter fare previsioni corrette senza confondere i fondamentali. È carente la capacità di cercare il perché delle cause ed effetti, mentre abbonda l'ansia di capire il come agiscono.
Se questa capacità di investigare i perché delle cause non fosse mancata, non sarebbe stato così difficile prevedere che dopo l'interruzione della crescita della natalità nel mondo occidentale la crescita economica si sarebbe interrotta, sarebbero cresciuti i costi fissi e le tasse e diminuita la crescita del risparmio. Si sarebbe anche capito che i tentativi di compensare detto crollo delle nascite con maggior produttività e delocalizzazione di molte produzioni, sarebbero stati insufficienti verso le esigenze di crescita del Pil e si sarebbe capito che la conseguente decisione di sostenere detta crescita con consumismo a debito sempre più eccessivo e rischioso per la solvibilità del sistema, sarebbe stato catastrofico. Accettare la conclusione che questa crisi non era prevedibile è come ammettere di non poter prevedere che un aereo, insufficientemente rifornito di carburante, non possa arrivare a destinazione. Certo potrà cercare soluzioni varie, quali risparmiare carburante andando più piano, cercare corridoi aerei più veloci, sperare in un forte vento di coda.
Ma sottovalutare o ignorare le regole tecniche dell'aereo non potrà altro che fargli rischiare di finire in mare... Così ignorare le leggi naturali e soprattutto la natura umana ha comportato, e comporterà sempre, l'impossibilità di fare previsioni a lungo termine corrette e utili all'uomo. La dovuta conoscenza della natura umana è un problema che va oltre la tecnica. Papa Benedetto XVI qualche tempo fa raccomandò agli economisti più cautela nelle previsioni che interessano l'uomo. Così nel capitolo sesto dell'enciclica Caritas in Veritate, attualizza la profezia che Giovanni Paolo II aveva esposto nella sua enciclica Sollecitudo rei socialis, quando spiega che l'uomo contemporaneo dispone di strumenti tecnici avanzati e sofisticati, ma dimostra immaturità nella conoscenza necessaria per saperli usare e pertanto rischia che gli sfuggano di mano. Come è infatti successo.
Oltre che disporre di modelli matematici, per far piani e previsioni a lungo termine, è necessario conoscere la natura umana e il comportamento umano non è prevedibile solo analizzando gli aspetti materialistici prescindendo dal resto. L'uomo è anche "il resto", ma spesso lo dimentica. Ecco perché Benedetto XVI parla frequentemente di emergenza educativa per la nostra civiltà. Da molti decenni la nostra società ha sostituito il suo modello educativo fondato sul know why (saper perché) con il modello importato fondato sul know how (saper come).
Questo modello ha certo permesso una maggior produttività umana, ma ha reso le persone schiave del comportamento sperimentato da altri, tributarie del benchmark prodotto da altri in altri casi e occasioni. Ha anche concorso a scoraggiare la crescita del pensiero logico, indagatore, innovativo e responsabile.
Dovremmo tornare a insegnare e apprendere l'educazione del know why, ritornando a domandarci più spesso il "perché" di ogni azione, risultato, conseguenza. Questo modello educativo un tempo era un vantaggio competitivo della nostra cultura, e ancora non è spento del tutto. Nei nostri licei si insegna ancora il sillogismo aristotelico. Tornando a insegnare a cercare il "perché" e non solo il "come" si tornerà ad apprendere come darsi obiettivi reali, a progettare il futuro. Si insegnerà conseguentemente anche a prevedere correttamente. E a prevenire consapevolmente soprattutto.
«Il Sole 24 Ore» del 12 giugno 2010

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