26 giugno 2010

Bisin: «Ma se qualcuno ha fallito, è la Banca mondiale»

«Il Fondo? Il suo è un lavoro ingrato, ma necessario. Io difendo i suoi interventi, non ha affamato nessuno»
di Giorgio Ferrari
Ma è proprio indispensa­bile un organismo co­me il Fmi? Lo doman­diamo al professor Alberto Bisin, bocconiano doc e da anni ordi­nario di Economia alla New York University.
«Il Fondo monetario internazio­nale fa un lavoro ingrato, cioè quello di intervenire in Paesi che hanno gravi problemi finanzia­ri e imporre condizio­ni perché ne escano».

Con un’ideologia di fondo, se mi passa il gioco di parole...
Certo, negli ultimi die­ci- quindici anni il Fmi è fra le istituzioni che hanno più marcata­mente accolto un cer­to modo di pensare la politica economica, ossia quel­lo market oriented. Naturale quindi che da molti sia stato vi­sto come il nemico liberista. Il che può anche essere vero da un certo punto di vista, ma a mio avviso non c’è altro modo ragio­nevole di vedere la politica eco­nomia.

Il Fmi è attivo da un sessanten­nio. Possiamo considerarlo an­cora indispensabile?
Per quanto sia un’istituzione con degli obiettivi che si sono evolu­ti nel corso di sessant’anni, lo re­puto tuttora un deposito di buon senso e di saggezza finanziaria.

Un 'buon senso' che ha rego­larmente avvantaggiato l’Occi­dente e comunque il modo di pensare occidentale.
Indirettamente sì. Ma poteva fa­re diversamente? Il Fmi è entra­to in tutte le crisi imponendo mi­sure di rientro dei conti pubbli­ci spesse volte in Paesi – come in Africa o in Asia – dove la struttu­ra politica è abbastanza difficile da gestire, non è ben definita, e talvolta non è democratica. Se l’Occidente ne ha avuto dei van­taggi li ha avuti in forma indiret­ta, ad esempio nel beneficiare di una struttura finanziaria mon­diale stabile.

Non molto tempo fa la rivista Business Week ha fatto un elen­co dei molti insuccessi attribuibili al Fmi.
Non sono il difensore civico del Fmi, ma se devo pensare a un’i­stituzione che è davvero fallita nelle sue politiche direi piuttosto che è la Banca mondiale.

Perché?
Il Fondo è un’istituzione che ha cercato di fare cose estrema­mente impopolari e quindi dif­ficili. La Banca mondiale invece ha ripetutamente tentato di sti­molare la crescita in Africa e A­sia, ma le sue ricette di carattere dirigistico prevedevano inter­venti diretti massicci che non hanno funzionato, anzi sono cla­morosamente falliti. Ora ci ri­pensano e privilegiano inter­venti minimali, quasi villaggio per villaggio, mentre fino agli an­ni Ottanta l’idea-guida della Banca era di accordarsi con i go­verni e fare dighe, ponti, strade, impiantare l’industria siderurgi­ca. Come del resto si è fatto nel nostro Sud. E questo sappiamo bene che non funziona.

Il Fmi invece funzionava?
Interveniva con un approccio di mercato: tenere i conti in ordine, liberalizzare i mercati e far funzionare l’economia.

Il che implicava costi enormi per ripagare gli interessi...
Vero, e questo accade soprattut­to nella fase iniziale dell’inter­vento. Ma quando si afferma che ci sono popolazioni alla fame e la colpa è del Fondo, io dico che non è vero, anche se ci sono si­tuazioni drammatiche.

La crisi del debito greco ha fat­to balenare l’ipotesi della nasci­ta di un Fondo monetario europeo.
A me sembra un’idea abbastan­za insensata. Già il Fondo stesso si è ritagliato un ruolo nella sta­bilità mondiale praticamente dal nulla: il suo compito originario si riferiva ai mercati dei cambi quando le valute erano legate al­l’oro. Oggi essenzialmente lavo­ra poco sui cambi. Inoltre l’idea di pensare a un’istituzione eu­ropea che abbia potere contro la speculazione dei mercati è inat­tuabile e malsana insieme.
Il presidente della Bce Trichet non ha apprezzato l’ingresso del Fmi nel pacchetto di salvatag­gio greco, reputandolo una ces­sione di sovranità da parte del­l’Europa.
Lo capisco, ma questo è un a­spetto politico. Il Fmi interviene in quanto possiede le risorse e sa come intervenire. È ovvio d’al­tro canto che la Bce si sia senti­ta scalzata.
«Avvenire» del 26 giugno 2010

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