15 maggio 2010

Todorov: ma i critici letterari escano dal ghetto delle forme

Il primo Premio letterario per la critica militante «Giu­seppe Bonura», bandito da «Avvenire», è stato conse­gnato ieri al Salone del Libro di Torino a Tzvetan Todorov, 70 anni, allievo di Roland Barthes e già direttore del «Centro di Ricerca sulle Arti e il Linguaggio» di Parigi
di Tzvetan Todorov
Pubblichiamo qui il discor­so pronunciato per l’occa­sione dall’illustre critico e scrittore franco-bulgaro, au­tore – tra l’altro – di «Memo­ria del male, tentazione del bene», «Il nuovo disordine mondiale», «La letteratura in pericolo», «La paura dei barbari. Oltre lo scontro del­le civiltà»
Mentre ringrazio per il premio Bonura che mi viene conferito oggi al Salone del Libro, vo­glio anche dirvi che nel mondo francese il termine «militante» ha un significato più ristretto e forse meno simpatico di quello che ha nel mondo italiano, perché riguarda anzitutto l’ambito politico. Abbiamo tutto l’in­teresse a liberare la letteratu­ra dal rigore soffocante in cui la si rinchiude, fatto di giochi formali, lamenti nichilisti ed egocentrismo solipsistico?
Ciò potrebbe a sua volta am­pliare gli orizzonti della criti­ca, facendola uscire dal ghet­to formalista che interessa solo altri critici e aprendola al grande scambio di idee a cui prende parte ogni forma di conoscenza umana. L’ef­fetto più importante di que­sto mutamento riguarda l’in­segnamento della letteratu­ra, perché esso si rivolge a tutti i bambini e, tramite lo­ro, alla maggior parte degli a­dulti.
Come ho scritto nel li­bro La letteratura in pericolo, ’analisi delle opere che vie­ne fatta a scuola non dovreb­be più avere lo scopo di illu­strare i concetti introdotti dall’uno o dall’altro linguista o da quel teorico della lette­ratura e dunque di presen­tarci i testi come un’applica­zione della lingua e del di­scorso; il suo compito sareb­be di farci pervenire al loro significato – perché chiedia­mo che esso, a sua volta, ci conduca verso una cono­scenza dell’uomo che è di in­teresse comune. Più esatta­mente, lo studio dell’opera rimanda a cerchi concentrici sempre più ampi: quello de­gli altri scritti dello stesso au­tore, della letteratura nazio­nale, della letteratura mon­diale; ma il suo contesto fi­nale, e il più importante di tutti, ci viene fornito dall’esi­stenza umana stessa. Tutti i capolavori, quale che ne sia l’origine, fanno riflettere pro­prio su questo. Qui bisogna intendere la letteratura nel suo significato più ampio, ri­cordando i limiti storica­mente mutevoli della nozio­ne. Perciò non saranno rite­nuti dogma incrollabile gli assiomi ormai inefficaci de­gli ultimi romantici, secondo i quali la stella della poesia non avrebbe nulla in comu­ne con il grigiore del «repor­tage universale», prodotto dal linguaggio comune. Ri­conoscere le virtù della lette­ratura non ci obbliga a cre­dere che «la vera vita è la let­teratura », o che «al mondo o­gni cosa esiste per finire in un bel libro», dogma che e­scluderebbe dalla «vera vita» i tre quarti dell’umanità. I te­sti definiti oggi «non lettera­ri » hanno molto da insegna­re; e per quanto mi riguarda avrei reso volentieri obbliga­torio, nel programma di francese, lo studio della let­tera – ahimè per nulla inven­tata – che Germaine Tillion indirizzava dalla prigione di Fresnes al tribunale militare tedesco il 3 gennaio 1943. È un capolavoro di umanità, in cui forma e significato sono inseparabili; gli allievi ne a­vrebbero molto da imparare. Per riprendere il titolo di un pamphlet recente, «si uccide la letteratura» non quando a scuola si studiano anche te­sti «non letterari», ma quan­do si fanno delle opere le semplici illustrazioni di una visione formalista, o nichili­sta, o solipsistica della lette­ratura. Essendo oggetto della letteratura la stessa condi­zione umana, chi la legge e la comprende non diventerà un esperto di analisi lettera­ria, ma un conoscitore del­l’essere umano. Quale mi­gliore introduzione alla com­prensione dei comporta­menti e dei sentimenti uma­ni, se non immergersi nell’o­pera dei grandi scrittori che si dedicano a questo compi­to da millenni?

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«L’analisi delle opere fatta nelle scuole non dovrebbe illustrare idee di teoria letteraria, ma farci pervenire al significato dei testi e a una conoscenza comune dell’uomo»

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«Avvenire» del 15 maggio 2010

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