21 maggio 2010

Shoah, quei treni si potevano fermare?

Perché le democrazie occidentali non contrastarono Hitler e lo sterminio degli ebrei, malgrado gli avvisi di Winston Churchill
di Paolo Sorbi
Una dura polemica scoppia in questi giorni in Francia, con Claude Lanzmann che accusa: le grandi nazioni dovevano agire prima che la Germania
«È un errore supporre che il problema di evitare un’altra guerra non solo europea ma, con ogni probabilità mondiale, dipenda, per la maggior parte, dalla risposta che Hitler ha indirizzato alle potenze di Locarno. Bisogna, io credo, fermare ora la va­langa! » Così Winston Churchill sull’'Evening Standard' del 3 aprile 1936. Come sappiamo le potenze democratiche fecero orecchie da mercante. Continuarono inutili conversazioni col tiranno tedesco e pochi anni dopo scoppiò la tremen­da Seconda guerra mondiale. Se non inquadriamo 'l’abbandono e­braico' in questo scenario di politi­ca internazionale di metà, fine degli anni Trenta non possiamo intende­re perché poi nessuno poté più sal­vare l’ebraismo europeo. Allora, nell’inizio del ’36, con una decisio­ne di attacco alla Germania nazista, sarebbe stato possibile. Ma questo non ci fu.
L’impossibilità di agire durante la guerra, mentre si doveva agire pri­ma, lo sottolinea correttamente Claude Lanzmann, attuale direttore di Temps Modernes e grande regista di 'Shoah', in un lungo servizio u­scito di recente sul Nouvel Observateur.
Le democrazie furono cultu­ralmente innanzitutto, e poi anche politicamente, 'bloccate' dall’insi­diosa tattica hitleriana, accettarono la linea delle continue mediazioni con Hitler dell’allora primo mini­stro inglese Chamberlain. Anche perché, ribadisce sempre Lanz­mann, la percezione dell’importan­za culturale e spirituale dell’Ebrai­smo nella millenaria storia europea non era affatto centrale nell’opinio­ne diffusa degli europei, sia nelle é­lites che nelle popolazioni. I leader politici pensarono che il gruppo di­rigente nazionalsocialista fosse an­cora, come si diceva nelle Cancelle­rie europee, 'sotto controllo'. E in­vece… come mai si previde così po­co? Le società democratiche, in tut­to il decennio degli anni Trenta, di­mostrarono forti incapacità di com­prendere la natura nuova e 'iper­modernizzante' dei regimi totalitari di massa. Esse erano a pensare se­condo categorie di pragmatismo e conflitti nazionali. Spesso le loro éli­te pensavano che i conflitti, anche aspri, non evolvessero mai in guerra totale. I cambiamenti nelle élite democratiche degli anni Trenta furo­no intrapresi sotto la luce di dram­matiche esperienze. Ci fu certa­mente chi andò controcorrente. Chi elaborò, presagi lucidi e preventivi.
Furono quei diplomatici polacchi, come Jan Karski, quei giornalisti in­glesi e americani che lavoravano in Germania. Essi documentarono, con dispacci diplomatici, articoli, cinegiornali e così via, il tremendo processo di nazificazione popolare che emergeva nella vita quotidiana, stravolgendo qualsivoglia norma di garanzia giuridica individuale.
Il leader che incarnò meglio questo atteggiamento diffidente verso i to­talitarismi ascendenti, fu Winston Churchill. La guerra, nei primi anni, vide l’avanzata dei tedeschi in tutta Europa e la stessa Palestina, secon­do molte organizzazioni sioniste, sarebbe stata occupata dalle forze naziste. Le comunità ebraiche, in terra d’Israele, erano ossessionate, letteralmente, dal pericolo incom­bente e i funzionari dell’Agenzia E­braica, pur ricevendo le terribili no­tizie delle persecuzioni che gli ebrei europei subivano, pensavano ci fos­sero margini ristrettissimi per la lo­ro stessa salvezza in terra d’Israele.
Tantissime, allarmanti informazioni arrivavano dalla Polonia, dall’Un­gheria, da tutti i Paesi dell’Est euro­peo. Ma erano attendibili?
Oramai ben sappiamo da una ster­minata letteratura storiografica, che tutte le leadership europee sapeva­no e che hanno cercato, per quel fu che possibile, di agire e di mobili­tarsi a favore dei perseguitati al contrario di molta storiografia attuale che cerca sempre di trovare opportunisni che io ritengo inesi­stenti. C’è una grande trappola in cui non si deve cadere nel dibattito su come si organizzò la salvezza possibile degli ebrei europei: le ten­tazioni del senno di poi. È molto facile distribuire premi o punizioni, dare giudizi di assenteismo e di at­teggiamenti ignobili. Tutto ciò ri­mane astratto e specialmente non affronta il fenomeno macroscopico del totalitarismo nazista. Fenome­no inedito da tutti i punti di vista nella storia dell’Occidente.
Ci sono anche altri drammatici mo­tivi, diciamo così, più 'endogeni' dell’impressionante incapacità di capire quello che avveniva sotto gli occhi dell’opinione pubblica, anche ebraica, in tutta Europa e negli Stati Uniti. I dirigenti delle organizzazio­ni ebraiche, laiche e religiose, tarda­rono enormemente a comprendere che non si trattava delle classiche persecuzioni e di terribili pogrom.
Si trattò di una forte incapacità di immaginazione politica e di limiti atavici in 'atti di fiducia' verso le maggioranze sociali europee che tradizionalmente avevano portato le minoranze ebraiche a sopportare persecuzioni, ma a vedere nel futu­ro la continuità delle convivenza nei territori europei. Qui si trattava di ben altro. Le dinamiche della 'psicologia del politico' ci spiegano bene come si realizzò un dramma­tico processo di rimozione politica in tanti leader di origine ebraica.
Non si 'volle' accettare, pena im­menso dolore non gestibile, una sindrome caratteristica di quei tem­pi terribili di ferro e di fuoco: voler indulgere in illusioni di speranza e chiudere gli occhi di fronte all’e­mergente verità troppo straziante: il progetto di annientamento genera­le delle minoranze ebraiche.
La maligna natura del nazismo fu al di là, ripeto, della comprensione culturale delle leadership sioniste o comunque legate alla cultura ebrai­ca. Il fenomeno fu anche di tante al­tre istituzioni laiche e religiose, co­me ad esempio la Croce Rossa In­ternazionale. Anch’essa cercò di aiutare e di intervenire: molte volte vinse contro le rappresaglie dei na­zisti, tante altre non poté far quasi niente, pur sapendo ben presto quasi tutto dell’annientamento de­gli ebrei.
«Avvenire» del 20 maggio 2010

Nessun commento: