11 maggio 2010

Per crescere, bisogna prima nascere

s. i. a.
Gli osservatori economici, pur constatando come l’Italia abbia retto meglio di altri ai colpi della crisi internazionale, ricordano che la vera sfida da vincere è quella della crescita, che già prima arrancava a un ritmo inferiore di quello dei principali partner europei. Le ragioni di questa crescita insufficiente sono varie, ma raramente mettono in luce la questione demografica, cioè il bassissimo tasso di natalità che perdura da decenni e che ha prodotto un invecchiamento consistente della popolazione. Quando si lamenta il peso eccessivo della spesa previdenziale, e per certi aspetti sanitaria, bisognerebbe ricordare che una popolazione più anziana della media europea richiede ovviamente un esborso superiore in questi settori.
Naturalmente è ragionevole proporsi di disboscare gli sprechi e gli abusi, talora impressionanti. Tuttavia, quando si pensa a come rimuovere le cause strutturali che frenano lo sviluppo, andrebbero studiate anche misure utili per combattere la denatalità, che è all’origine di questo fenomeno. Ormai, a differenza di quel che accadeva ancora dieci anni fa, sono le donne che non hanno un lavoro a partorire meno figli, il che sottolinea l’esigenza di intervenire per migliorare la condizione sociale e assistenziale della lavoratrice madre.
E’ tra le donne che è più bassa, nettamente più bassa che nei maggiori paesi europei, la partecipazione al lavoro, e questo rappresenta uno dei maggiori limiti sia alla crescita produttiva e occupazionale, sia alla natalità. Naturalmente non sono solo i fattori materiali ed economici a ridurre la propensione a creare famiglie stabili e a procreare. Tuttavia anche quelli hanno un peso, ed è un errore considerare gli interventi fiscali a favore delle famiglie come meno efficaci sul piano economico di quelli a vantaggio delle imprese e dei lavoratori con la riduzione del cuneo fiscale. Correggere la curva demografica è una delle condizioni fondamentali per ridurre il differenziale negativo nello sviluppo.
«Il Foglio» dell'11 maggio 2010

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