06 maggio 2010

Il «vagabondo ideologico» del Web: sa quel che lascia, non sa quel che trova

Una ricerca Usa chiarisce che chi naviga su internet non vuole essere «confermato» nella propria opinione, ma è curioso e cerca il confronto con gli altri. Un salto avanti rispetto ai media tradizionali e ai luoghi di interazione sociale. Ma così, anche, tutto si «volatilizza»
di Roberto Scafuri
Anche una cosiddetta «scoperta dell'acqua calda» ha la sua importanza. Radicare su basi scientifiche ciò che magari viene soltanto intuito, significa spesso consentire nuove applicazioni e ulteriori sviluppi. Così sembra di poter dire a proposito degli esiti di una ricerca di un importante istituto americano, la Chicago Booth School of Business. Semplificando semplificando, il succo dell'indagine potrebbe suonare più o meno: «chi naviga su internet naviga». Oppure: «il mondo virtuale è virtuale». O ancora: «chi si passa ore sulla Rete è curioso».
Banalità? Basta modificare un pochino queste affermazioni, per cominciare a comprenderne la reale portata. «Chi naviga sa quel che lascia, ma non sa quel che trova», per esempio. Quando si intraprende un viaggio nella conoscenza - meglio, nella conoscenza virtuale presente sul Web -, non si vogliono affatto ritrovare le proprie convinzioni ed esserne rassicurati, piuttosto si cercano novità, confronto, posizioni distanti.
Tutto qua? Sì e no, se pensiamo che uno dei motivi per i quali si sono acquistati (e si acquistano ancora, ma sempre meno) i quotidiani è il radicamento nella propria posizione, nella propria idea. Non a caso i lettori sono «fedeli» a un loro giornale e difficilmente lo cambiano.
Come si vede, specie per l'informazione - ma anche per la politica - il mondo Web getta le basi per un radicale mutamento dell'essere: ovviamente delle generazioni in crescita, più che in quelle ormai «mature». E qualche effetto è possibile anche riscontrarlo, se pensiamo alla «volatilità» delle posizioni assunte dai giovani, specie in politica. O dal bisogno di identità che spesso si traduce nella semplice appartenenza a un gruppo nelle web-community che, il più delle volte, dura soltanto lo spazio di un mattino.
La ricerca americana, condotta da Matthew Gentzkow e Jesse M. Shapiro, docenti della Chicago Booth School of Business, è partita indagando su come il consumo d'informazioni su internet è contraddistinto da una sorta di «segregazione ideologica» e ne ha messo a confronto i risultati con la segregazione dei media tradizionali (nonché delle interazioni interpersonali).
Qui è avvenuta la prima scoperta, che riguarda l'effetto «cassa di risonanza»: ovvero il fatto che le nostre convinzioni personali si rafforzano nell'udire o leggere idee simili. Se amiamo trovare conferma delle nostre idee preconcette - si potrebbe pensare - internet, che permette di personalizzare la scelta dei media online e dunque di selezionare solo le storie che ci interessano, potrebbe isolarci dietro le nostre convinzioni. Così, alla fine, si produrrebbe una sorta di «polarizzazione» della società in gruppi distinti.
Gentzkow e Shapiro, invece, nella pubblicazione dal titolo: «Segregazione ideologica online e offline», hanno dimostrato esattamente il contrario. Secondo i due ricercatori, nulla prova in modo convincente che internet accentuerebbe progressivamente la segregazione ideologica. Al contrario, nello studio viene fuori che la «segregazione ideologica» degli internauti è inferiore a quella dei lettori dei giornali nazionali.
Non solo: emerge anche che gli scambi su internet sono ideologicamente molto più diversificati che altre forme di aggregazione tradizionali, come le discussioni sul luogo di lavoro o in chiesa. È molto più probabile incontrare delle persone con idee opposte su internet che passeggiando nel proprio quartiere (e in effetti ce n'eravamo accorti!).
Eppure è assai interessante scoprire che la maggior parte degli internauti visita regolarmente siti generalisti (o politicamente non orientati) come Yahoo News o AOL e visita anche quei siti che non rispecchiano necessariamente le loro ideologie. Anche quando passano ad altri siti, hanno l'abitudine di visitare quelli dove incontrano persone molto differenti da loro.
La ricerca di Gentzkow e Shapiro, che riprende gli strumenti di analisi utilizzati per misurare la segregazione razziale negli Stati Uniti, s'è concentrata innanzitutto sul comportamento degli individui su internet. Partendo da un campione di giornali e siti web, i ricercatori hanno misurato la dimensione conservatrice di ogni media, ossia, la proporzione di lettori che si dichiarano di tendenza «conservatrice». In seguito, hanno dato un valore alla proporzione conservatrice media di ogni fonte d'informazione visitata. Per esempio: se il sito nytimes.com è l'unico media consultato dal lettore, la sua esposizione è definita dalla dimensione conservatrice del sito stesso. Se invece il lettore consulta oltre al nytimes.com anche foxnews.com, la sua esposizione sarà pari alla media della dimensione conservatrice dei due siti.
In altri termini, internet è ben lontano da essere chiuso, segregato, e gli internauti sono molto più curiosi dei lettori di quotidiani; alla ricerca costante del confronto d'idee, vogliono sapere cosa succede dall'altra parte dello steccato politico e non hanno timore di esplorare siti che contengono opinioni opposte. Ecco perché potremmo definire gli internauti una sorta di «vagabondi ideologici». E questo, in definitiva, può spiegare su basi scientifiche perché, al di là delle chiacchiere dei politici che pensano di essere più trendy, comparire e manifestare opinioni sul Web non assicura per nulla il sedimentarsi di un'opinione. Tutt'al più riesce a portare in piazza un bel po' di persone su un'idea (le feste per strada, com'è successo al Colosseo di Roma qualche tempo fa), uno slogan (il no-Bday, altro esempio), ma si resta incapaci - il giorno dopo - di tramutare il seguito sul Web in seguito politico concreto. A meno che, come Beppe Grillo, il grumo d'opinioni non si alimenti di un nome molto conosciuto, che fa spettacoli reali in piazza (magari chiamandoli «manifestazioni»), e si presenta persino alle elezioni. Usando così la popolarità soprattutto in tivù e sui quotidiani, che fanno «rimbalzare» le posizioni manifestate sul Web, e danno loro «corpo».
Ma questa esperienza del tutto peculiare, «all'italiana», non fa parte della ricerca, essendo evidentemente sconosciuta ai ricercatori americani. Tutto considerato, forse non sarebbe neppure opportuno fargliela sapere.
«Il Giornale» del 6 maggio 2010

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