05 maggio 2010

Il teologo e l’economista: per la crisi mercato più etico

di Marco Girardo
Etica ed economia: un binomio che nell’ulti­mo anno ha riempito gli scaffali delle librerie. Difficile trovare un florilegio di pubblicazioni sul tema come quello che ha accompagnato la più grande crisi globale dal 1929 a oggi. A scricchiola­re, del resto, sono state le fondamenta di un mo­dello: il turbo-capitalismo finanziario che, a partire dagli anni Novanta, ha prima drogato e poi procu­rato un infarto ai mercati. Sul banco degli imputati è finito niente meno che l’ homo oeconomicus della teoria classica, soggettività paradigmatica le cui principali caratteristiche sono la razionalità (tecni­co- scientifica) e l’attenzione esclusiva per gli inte­ressi individuali. Per questo a indagare le origini del guasto al sistema non sono stati solo economi­sti e scienziati sociali, ma anche filosofi e teologi attenti alla dimensione morale. Peccato che spesso lo abbiano fatto senza dialogare tra loro. Con il ri­schio di finire nelle secche della polarizzazione: salviamo l’uomo e buttiamo il mercato oppure as­solviamo l’inesorabile mercato e aggiustiamo in qualche modo l’uomo. A perlustrare il terreno del­la convergenza sono invece Luigi Zingales e Gian­paolo Salvini, opportunamente sollecitati dall’edi­torialista de Il Sole 24 Ore Salvatore Carrubba. Pre­senteranno oggi le con­versazioni racchiuse in Il buono dell’economia. Etica e mercato oltre i luoghi comuni (Egea­ Università Bocconi edi­tore, pp. 190, euro 16) negli incontri Exlibris organizzati a Milano dalla Fondazione «Cor­riere della Sera». Zinga­les è uno dei più bril­lanti economisti italiani di scuola liberale men­tre il teologo gesuita Salvini dirige dal 1985 La Civiltà Cattolica e non è certo digiuno d’e­conomia. Entrambi, il laico e il cattolico, non sono poi affetti dalla «dissonanza cognitiva», meccanismo inconscio per cui si tende a forza­re le teorie o persino i fatti in funzione dalla propria visione del mondo inciampando così nei «luoghi comuni». I due convengono anzi­tutto sul fatto che l’economia di mercato – defini­zione che Zingales preferisce a «capitalismo» – si conferma il meno imperfetto fra gli strumenti per l’agire economico. Zingales e Salvini sono pure d’accordo che «ogni decisione economica ha una conseguenza morale», come indica Benedetto XVI nella Caritas in veritate . L’enciclica è un punto di riferimento costante. Anche perché, sottolinea il rettore della Bocconi Guido Tabellini nella prefa­zione, «condivide alcuni presupposti della visione liberale, ma si spinge oltre. Essa parla di persona, più che di individuo, e attribuisce alla persona un particolare contenuto di valori e di fini ultimi». È proprio da questa distinzione che si ramificano le due possibilità esplorate dagli autori per corregge­re le distorsioni del capitalismo. Quella che prende come riferimento l’individuo non può che affidarsi a una morale «eteronoma», esterna, con l’obiettivo di governare gli eccessi. Conduce quindi a più re­gole, più sanzioni, più governance e controllo. L’ap­proccio che fa della persona il fondamento dell’ar­chitettura economico-sociale punta invece sulla capacità di generare cambiamento di una morale «autonoma», e cioè interiorizzata. Non dall’indivi­duo, ma dalla persona. Quale strada imboccare? A seconda di come risponderà, l’economia dise­gnerà i suoi confini nel dopo-crisi. «Oltre i luoghi comuni», il mercato non appare in ogni caso auto­sufficiente. E ha bisogno di un ethos condiviso e radicato nella mentalità profonda della società.
Sfida antropologica prima che economica.
«Avvenire» del 5 maggio 2010

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