12 maggio 2010

Il furore ingiusto contro la Chiesa

Il rispetto perduto
di Claudio Magris
Tiro a segno contro la Chiesa: un odio indiscriminato e ingiusto
In uno spettacolo teatrale, «Sono romano ma non è colpa mia» di Enrico Brignano, una battuta - che vorrebbe pateticamente essere spiritosa - dice che, se d'improvviso fosse annunciato l'arrivo del Papa, bisognerebbe mandare a casa i bambini. Sarebbe augurabile che i bambini venissero allontanati prima di quella battuta, perché atrofizzare l'intelligenza e rovinare il senso dell'umorismo sono anch'esse colpe gravi, anche se certo meno dell' abietta pedofilia. Ma un'uscita di pessimo gusto la si può lasciar passare con indulgenza, come si fa con una bestemmia o con altre volgarità che, come eruttazioni, scappano talora di bocca a quasi tutti noi. È lecito piuttosto pretendere un minimo di civiltà da chi esercita la nobile professione forense e difende i diritti dei cittadini. I giornali hanno invece riferito l'indecente pubblicità di uno studio legale statunitense, la quale suona: «Se vuoi guadagnare un milione, manda tuo figlio in parrocchia per qualche tempo e poi vieni da noi». Il record dell' imbecillità spetta tuttavia al testo di un funzionario del Foreign Office - ministero degli Esteri di un Paese un tempo grande - inserito nel dossier sui preparativi della visita del Papa in Gran Bretagna e apparso sul Sunday Telegraph. Esso dice (cito da La Voce del Popolo, quotidiano della Comunità degli Italiani di Fiume): «Quando il prossimo settembre verrà nel Regno Unito il Papa dovrebbe benedire un matrimonio gay, inaugurare in un ospedale un reparto per gli aborti e magari lanciare un nuovo tipo di preservativo chiamato "Benedict"». Non invidio l'ambasciatore di Sua Maestà Britannica presso la Santa Sede, che ha dovuto presentare le sue scuse al Vaticano. Flaubert sarebbe stato affascinato da quel «documento stupido», come l'ha definito l'ambasciatore inglese, perché niente lo affascinava come la stupidità, invincibile e incrollabile come la natura. Si potrebbero citare molti esempi simili, ripugnanti sintomi di una malattia della società contemporanea: la caduta di quella virtù suprema, premessa di tutte le altre, che è il rispetto, e dello stile, in cui il rispetto prende corpo. Talvolta può essere necessario combattere a morte un male e chi lo perpetra; qualcuno può meritare l'ergastolo, ma in nessun caso può essere trattato indegnamente. Il rispetto non esiste senza certe forme, senza uno stile in cui s'incarna e che non obbedisce a etichette pretesamente raffinate o a rigidi codici di comportamento, bensì è uno spontaneo riguardo nei confronti degli altri, di chiunque altro; è il modo in cui ci si rivolge agli altri, pur magari combattendoli. Quando una società perde lo stile, inizia a marcire; se un Presidente del Consiglio, com'è avvenuto un paio di mesi fa in Italia, si rivolge in televisione a una delle belle ragazze che lo circondano chiedendole se è lei che gli tocca il sedere, questa non è una goliardata, forse legittima in altra circostanza e situazione, ma è il segno di una civiltà di comportamento in caduta libera. Oggi un bersaglio dei lazzi è soprattutto la Chiesa. L'origine immediata di questo tiro a segno nei suoi confronti deriva certo dalle gravissime colpe di alcuni suoi esponenti commesse a danno di minori indifesi e dalla sua inadeguatezza ad affrontarle o addirittura, in passato, dalla sua riprovevole tendenza a celarle. La Chiesa dovrebbe aborrire più di ogni altro l'infamia di una violenza, specie su un bambino e specie se commessa da una persona come un sacerdote, cui per definizione ci si rivolge con particolare fiducia; scandalo il cui colpevole, dice il Vangelo in un passo ricordato dal Cardinale Martini, avrebbe fatto meglio a mettersi una grossa pietra al collo e finire in mare (Luca, 17, 2).
È stupefacente scoprire che in passato alcuni ecclesiastici rei di tale crimini siano stati semplicemente trasferiti da una parrocchia all'altra; è come se si scoprisse che un funzionario di banca ruba e lo si trasferisse ad altra banca, in cui tra l'altro può continuare a rubare, con la differenza che insidiare un bambino è ben più grave che insidiare un deposito bancario. Ma quei dileggi indiscriminati, di cui si sono fatti esempi, non nascono dalla doverosa esigenza di giustizia, dalla volontà di stroncare un fenomeno criminoso. Sta scatenandosi una canea simile, ad esempio, a quella che tempo fa, quando si era scoperto che gli autori di alcuni stupri erano romeni, aizzava a un disprezzo e a un odio indifferenziato nei confronti dei romeni in generale. C'è in quasi ogni uomo, in ognuno di noi, un atavico e barbarico istinto che spinge a far parte, con piacere, di una muta di cani da caccia eccitati contro una qualsiasi preda. Di volta in volta, cambia l'identità della preda - lo zingaro, il negro, il fascista e via di seguito - ma non cambia l'acre furore di scagliarsi contro qualcuno o meglio contro una categoria di persone, considerate inferiori e prive di diritti. Tutto ciò non ha nulla in comune con l' esigenza di individuare e punire il crimine commesso da uno specifico zingaro o negro, con un preciso nome e cognome. Ogni caccia alle streghe è peggiore delle streghe cacciate e non solo di quelle donne innocenti martirizzate dall' Inquisizione cattolica o dai protestanti nel Massachusetts o degli innocenti perseguitati quali comunisti dall'infamia maccartista. Oggi è la Chiesa a fare da piattello o da piccione nel club dei tiratori a segno. Anche se il Papa parla schiettamente di «sporcizia nella Chiesa», quasi non se ne prende atto. Indubbiamente, mai come oggi la Chiesa è stata maldestra nella comunicazione, uno dei grandi strumenti odierni della volontà di potenza. Non per questo è giusta la pregiudiziale generalizzata nei suoi confronti. Si perdona tutto a tutti, fuorché ad essa. Come è stato osservato, chi fischia Benedetto XVI per la sua opposizione al matrimonio omosessuale, stranamente non va a tirare almeno pomodori contro le ambasciate di quei Paesi (filo- o anti-occidentali) in cui gli omosessuali - adulti e consenzienti - vengono decapitati. Sospettare in generale - con maligna soddisfazione - di pedofilia i sacerdoti è barbarico e stupido come sospettare in generale di stupro tutti i romeni. In tal modo, inoltre, si arreca ingiustizia a tutti quei religiosi - preti e suore - che, nelle più diverse e disperate zone del mondo e nelle più diverse e disperate situazioni di sofferenza e di miseria ma anche nelle parrocchie delle nostre città, dedicano più di ogni altro la loro vita a difendere i dannati della terra. La Chiesa, giustamente, sta risarcendo - almeno economicamente, il che è poco, ma doveroso - le vittime di alcuni suoi rappresentanti. Potrebbe forse chiedere elevati danni a quello studio legale americano e al ministero degli Esteri di Sua Maestà Britannica.
«Corriere della Sera» del 6 maggio 2010

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