12 maggio 2010

Dai professori «felici di insegnare» una speranza per la nostra scuola

di Giorgio De Rienzo
L'ultima indagine Iard contiene una bella sorpresa, rispetto a quella di dieci anni fa: gli insegnanti della nostra scuola appaiono più soddisfatti e motivati. Oltre l'82% dichiara che, se dovesse tornare indietro, sceglierebbe lo stesso mestiere, rispettivamente il 67,5 e il 53,7% lo consiglierebbero alla figlia o a un figlio di amici. Un segno questo della femminilizzazione professionale che vede quasi il 95% di donne in cattedra nelle elementari, il 78,5 nelle medie e poco meno del 62 nelle superiori. Ma ritorniamo ai dati principali: solo un 13,3% intenderebbe cambiare mestiere e un 12,5 andarsene in pensione. Rispetto a dieci anni fa si apprezza di più l'insegnamento che sale tra i nove e i dieci punti di percentuale, mentre di altrettanti scende la disaffezione. Ma più interessanti sono le motivazioni. Chi sta in cattedra trova nelle aule un clima migliore di relazioni umane con i colleghi e i dirigenti, ma soprattutto (91%) con gli studenti. Nonostante i fenomeni di bullismo e di vandalismo segnalati dalla cronaca, poter lavorare con i giovani è la motivazione più forte (63%) tra quelle che portano a scegliere questo mestiere o meglio a seguire quella che i docenti (ben tre su quattro) indicano come una «vocazione», a cui rivendicano senz'altro una «funzione sociale». Queste aride cifre raccontano di un (inaspettato) entusiasmo dei professori, anche se tutti constatano il maggior impegno che li intrattiene per più tempo sul lavoro a scuola. C'è una maggiore consapevolezza tra i docenti, e questo è assai importante, sui criteri non selettivi che li hanno portati in cattedra, sulle competenze sufficienti ma sulla difficoltà a trasmetterle ai ragazzi. Relativamente pochi si aggiornano sui libri, la maggior parte ricorre a quella vasta enciclopedia di Internet. Ma quello che più piace ai professori oggi è un ritorno non tanto alla severità, ma alla dignità del loro ruolo, che alcuni dispositivi di legge hanno loro restituito. Non bisogna cadere nel trionfalismo, ma è certo che c'è un cambiamento forte di atteggiamento che fa ben sperare per il futuro della nostra Scuola.
«Corriere della Sera» del 5 maggio 2010

Nessun commento: