13 maggio 2010

Cappa, spada stregoneria e alieni: ecco l’archeo fantasy

di Daniele Abbiati
Il bello della narrativa di genere è che, non avendo un genere d’elezione, può comprenderli tutti. Certo, da questo uovo di Colombo spuntano non di rado pulcini deformi e destinati a breve e triste vita, ma anche qualche «brutto» anatroccolo che si trasforma in cigno. Quando poi per «narrativa di genere» s’intende (genericamente, appunto) la fantascienza, basta soffermarsi un istante all’immediato corollario della «fantastoria» per vedersi dispiegare sotto il naso mondi ipotetici, umanità alienamente criolle, tempi elasticizzati che s’allungano o si restringono.
Siamo, insomma, «Ai confini dell’immaginario», come conferma la nuova collana (curata da Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco) che Coniglio Editore, presente al Salone del Libro di Torino con altre sfiziose proposte, lancerà a inizio giugno. Il concetto di «confine» e quello di «immaginario» fanno naturalmente a pugni. Ma un bel corpo a corpo è proprio quel che ci vuole, in tempi di piattume conformista. E se per scatenarlo occorre trasferirsi negli anni Trenta del secolo scorso, l’alba della science fiction, tanto meglio: è l’occasione giusta per fare un’istruttiva passeggiata fra i siti archeologici della futurologia. Bentornato, allora, al Solomon Kane di Robert Ervin Howard (1906-1936) lo spadaccino puritano dai modi bruschi e dalla lama affilata che scorrazza per l’Europa del XVI secolo, impegnato a giustiziare malviventi e a esorcizzare i demoni per conto di Dio. Siamo nel corridoio «Spada e Stregoneria» di quell’autentico supermarket narrativo che è la produzione dello scrittore texano, nella quale trovano posto il classico «cappa e spada», l’horror, il western, le storie di pugilato, le detective story (si veda il sito www.librihowardiani.altervista.org a lui dedicato, e si citi di passaggio il film Solomon Kane di Michael J. Bassett, uscito l’anno scorso). Fra le creature di Howard si annovera quel Conan che, incarnato cinquant’anni dopo nei muscoli e nella faccia incazzosa di Arnold Schwarzenegger, diverrà un cult del cinema disimpegnato e perciò popolare.
A quel periodo, essendo del 1939, appartiene anche la seconda imminente riproposta di Coniglio Editore dopo il ciclo completo di Solomon Kane, il romanzo Schiavi degli invisibili (Sinister barrier) dell’inglese Eric Frank Russell (1905-1978). E anche qui avvertiamo qualcosa di famigliare, qualcosa di già sentito... «Siamo già stati conquistati, e sono i nostri sconosciuti padroni a fomentare le guerre e ad impedire alle altre intelligenze del cosmo di comunicare con noi», scrive Russell. Ma certo, ecco da dove vengono i subdoli rettili di Visitors! Non proprio, perché al posto dei colonizzatori a sangue freddo ecco i Vitoni, sfere di energia elettromagnetica invisibili all’occhio dell’uomo, di cui assorbono le energie nervose a proprio uso e consumo. L’extraterrestre come parassita è un’ottima carta da giocare, anche per l’interrogativo metafisico che si porta in dote: il Male è dentro di noi o viene da fuori? Per saperne di più, rivolgersi ad Alien. Russell trasse ispirazione per il suo libro dalle teorie di Charles Hoy Fort (1874-1932), scrittore e ricercatore dell’occulto e dei fenomeni bizzarri. Uno per il quale la fantasia supera sempre la realtà, almeno fino a quando la realtà non diventa fantasia e i confini dell’immaginario svaniscono.
«Il Giornale» del 13 maggio 2010

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