24 aprile 2010

Un umanesimo dà luce al mondo digitale

Nuovi contesti, stessa avventura
di Alessandro Zaccuri
In fondo è semplice: sono gli uomini che fan­no l’umanesimo. È stato così in ogni epoca, da quella del papiro fino a quella della stam­pa, e non è diverso oggi, non sarà diverso do­mani. Mediale e cross-mediale, digitale e con­vergente sono concetti nuovi, d’accordo, pro­cessi che possono addirittura risultare rivolu­zionari. Ma alla fine tocca ancora a noi fare la differenza. Tocca a ciascuno di noi, come sem­pre, assumere l’onere della testimonianza. Non si tratta di entusiasmarsi per qualsiasi di­spositivo alimentato da una batteria al litio. Si tratta piuttosto di imparare a riconoscere i se­gni dei tempi, senza ignorare le zone d’ombre e senza lasciarsene assorbire. È un panorama sorprendente, quello che emerge dai lavori del convengo sui 'Testimoni digitali' che si con­clude oggi a Roma al cospetto e con la parola di Benedetto XVI. E la sorpresa proviene dal­la realtà, in perfetta coerenza con la tradizio­ne del cristianesimo, che è scuola altissima – e severa – di realismo. Si annuncia il Vangelo nel mondo così com’è, non nel mondo così come vorremmo che fosse. Se il mondo della contemporaneità è un contesto 'aumentato', interconnesso e annodato da fili invisibili, è lì che i cristiani si danno appuntamento: nella nuova agorà, in una piazza che cessa di esse­re fittizia e secondaria perché è abitata da u­na concretezza radicale, da un’istintiva ade­sione alle ragioni ultime dell’essere uomo e dell’essere donna.
Tecno-ottimismo? Non esattamente. Anche per chi appartiene alla generazione degli 'im­migrati digitali', persone nate e cresciute pri­ma dell’avvento di computer e smart phone, quello che si sta delineando è un fenomeno che impone di evitare i luoghi comuni, i più radicati dei quali riguardano, al contrario, i co­siddetti 'nativi digitali'. Sono i ragazzi dai 25 anni in giù, solitamente rappresentati come incapaci di sottrarsi alla seduzione del virtua­le, liquidi nei rapporti e instabili nei valori. La ricerca che l’Università cattolica ha realizza­to in vista del convegno romano restituisce invece l’immagine di un universo giovanile smaliziato e consapevole, abilissimo nel do­sare tempi e modi della presenza in rete. For­se noi adulti ancora non lo abbiamo capito, ma essere reperibili su Facebook non equivale a costruirsi un profilo su MySpace e l’amicizia vera, spesa nella consuetudine quotidiana, è simboleggiata dal numero di telefono. Anzi, di telefonino, un dettaglio che rimanda alla traccia creaturale della voce, il più immate­riale e nel contempo il più riconoscibile fra i segni con cui la persona comunica la propria presenza.
In continuità ideale con 'Parabole mediati­che', il convegno che nel 2002 diede la di­mensione dell’impegno della Chiesa italiana nell’ambito della comunicazione, 'Testimoni digitali' è un evento che si affaccia su un de­cennio caratterizzato da una rinnovata preoc­cupazione educativa. Un’impresa che non si compie solo per mezzo di allarmi e divieti, ma che diventa efficace quando rimodula 'l’alfa­beto dell’umano' in un ambiente mediale che, già di per sé, fa a meno dei confini e costrui­sce ponti, come ha ricordato ieri il presiden­te della Cei, cardinale Angelo Bagnasco. Con queste parole la Chiesa indica una prospetti­va che non ignora la leggerezza della relazio­ni on line, ma che proprio per questo fa ap­pello alla densità originaria di un annuncio fondato sulla «presenza delle presenze», e cioè sulla verità del Risorto. Perché sono gli uomi­ni che fanno l’umanesimo, certo. Ma è l’uma­nità di Cristo a infondere speranza in ogni av­ventura, anche quella che inizia nel momen­to in cui uno schermo si illumina davanti ai no­stri occhi e il mondo che conoscevamo allar­ga i suoi orizzonti.
«Avvenire» del 24 aprile 2010

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