27 aprile 2010

Ripamonti, il cronista della peste

Esce dopo 160 anni la nuova traduzione italiana del volume che lo storico scrisse in latino nel 1640 e che ispirò Manzoni
di Armando Torno
Senza i suoi resoconti, i Promessi Sposi sarebbero diversi. Legato al cardinale Borromeo, fu sacerdote e canonico di Santa Maria alla Scala, chiesa demolita per costruire il teatro. Questa nuova stampa riempie un vuoto: l'opera mancava da molto tempo o era disponibile in edizioni di non facile lettura
Storico, milanese, sacerdote, sovente bistrattato dai critici e dalle storie della letteratura, i più lo ricordano per aver letto il suo nome con le relative fatiche ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Fondamentale per conoscere gli avvenimenti della pestilenza del 1630, si chiamava Giuseppe Ripamonti (1573-1643). Tra le sue opere figura appunto un De peste che uscì a Milano nel 1640. Scritto in latino, tradotto per la prima volta da Francesco Cusani nel 1841 per i torchi della Tipografia e Libreria Perotta e C. («libri cinque, cavati dagli Annali della città e scritti per ordine dei LX Decurioni»), e nella versione ottocentesca ristampato anche recentemente in anastatica da Forni (nel 2003, con prefazione di Ermanno Paccagnini), questo lavoro fu utilissimo al Manzoni per ricostruire i fatti della Milano colpita dal morbo e ambientare la sua storia.
Ora, dopo un secolo e sessanta anni, esce una nuova traduzione italiana che reca anche il testo originale a fronte: Giuseppe Ripamonti, La peste di Milano del 1630, edito dalla Casa del Manzoni (pp. XCII+ 620, 90). Curata da Cesare Repossi, con la traduzione di Stefano Corsi e una premessa di Angelo Stella, questa iniziativa editoriale è anche il primo volume di una collana, chiamata «Mediolanensia», che la ricordata Casa del Manzoni ha avviato in collaborazione con la Biblioteca Ambrosiana e l'Istituto Lombardo-Accademia di Scienze e Lettere. Sono previsti due titoli l'anno. Dopo il Ripamonti, che reca la data 2009 ma è arrivato ieri in libreria, si parla di un volume dedicato al diario della peste di Ludovico Settala, il protofisico anch'egli presente ne I promessi sposi. Gianmarco Gaspari, direttore della Casa del Manzoni, ci ha detto a proposito di questo libro del Ripamonti e delle iniziative in corso: «Mentre stiamo proseguendo l'edizione nazionale ed europea del sommo autore - entro la fine di aprile sarà pubblicato il nuovo volume con i carteggi letterari, in particolare i suoi rapporti con il mondo tedesco - abbiamo avviato questa iniziativa che si propone di offrire a un pubblico più vasto di quello degli specialisti opere e documenti sull'identità storica della nostra città e della sua vita culturale». Insomma, una sorta di ulteriore arricchimento agli scritti di Manzoni e, al tempo stesso, un omaggio a Milano con testi che mancavano o erano disponibili in edizioni di non facile lettura.
Su Giuseppe Ripamonti ci sarebbe molto da scrivere, ma qui dobbiamo limitarci a qualche nota sommaria. Legato al cardinale Federico Borromeo, tra i primi dottori della Biblioteca Ambrosiana, insegnò letteratura latina ed eloquenza sacra nel Seminario maggiore di Milano. Fu anche canonico di Santa Maria alla Scala, la qual cosa la dice lunga sulla benevolenza di cui dovette godere in curia e a palazzo. Questa chiesa, che poi sarà demolita dall'architetto Piermarini nella seconda metà del Settecento per edificare il celebre teatro, fu per decenni il pomo della discordia tra il governatore e la diocesi. Dipendeva dal governo della città e in molti casi i suoi canonici si rifiutarono di obbedire alla curia, sino a quando Carlo Borromeo vi entrò a cavallo, giusto per far capire chi era il padrone. Da allora le nomine dei preti furono dei compromessi, graditi da un potere e dall'altro. Insomma, Ripamonti era ben visto. Per questo sarà anche storiografo regio, grazie al governatore Diego de Guzmán, e cronista della città nominato dai decurioni; inoltre pubblicava le sue opere con gli auspici del cardinal Federico. Il De peste di Ripamonti in questa nuova traduzione è un'opportunità oltre che un documento. Consente di conoscere direttamente quei passi dai quali la capace penna del celebre Alessandro ha ricavato alcuni momenti della sua storia. Cesare Repossi dedica un'ampia parte in calce alla traduzione per mostrare l'utilizzo dell'opera sia in Fermo e Lucia, sia ne I promessi sposi. Si va dagli effetti della carestia in Milano alle descrizione del Lazzaretto, dall' aggressione ai garzoni dei fornai all' assalto della casa del Vicario, dalla negazione della peste alla processione con il corpo di San Carlo, dai monatti alle unzioni. Del volume basterà dire che è un nuovo punto di riferimento per l' opera e per le vicende sulla peste. Informatissimo, dettagliato anche negli apparati. Qualche svista potrebbe esserci, come quella che si legge alla nota 3 di p. LI, laddove è indicata come ultima edizione a stampa del testo latino del De pestilentia di Federico Borromeo quella di Pavia del 1964, mentre ce n'è una di Rusconi del 1998, presentata da Gianfranco Ravasi, tradotta da Ilaria Solari con l'originale a fronte. Sciocchezze. Il libro merita comunque attenzione e plauso.

Giuseppe Ripamonti (1573-1643), tra i primi dottori dell' Ambrosiana (la città lo ricorda con la lunga via). Il testo «La peste di Milano del 1630» (90 euro) è edito dalla Casa del Manzoni, primo volume della collana Mediolanensia
«Corriere della Sera» del 7 aprile 2010

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