20 aprile 2010

Resistenza a Roma: i cattolici clandestini

Nel diario di guerra del cattolico «di sinistra» Adriano Ossicini il ricordo di un’intensa attività antifascista Da quando Pio XII mobilitò il giovane Andreotti per farlo uscire dal carcere, agli espedienti per salvare Saragat, Pertini e altri 5 socialisti detenuti
di Antonio Airò
«Devi assolutamente pub­blicarlo, perché è molto bello». Per anni la solleci­tazione di don Giuseppe De Luca ad A­driano Ossicini a rendere pubblico il suo diario non aveva avuto seguito. La vicenda politica, legata all’«avventura», autonoma e anche arrischiata, della Si­nistra cristiana basata sull’alleanza non transitoria ma organica con il partito comunista per sconfiggere il fascismo e i tedeschi durante la Resistenza, che lo aveva visto tra i protagonisti nel perio­do tra il 1936 e il 1945 quando il partito si sciolse, è stata scandagliata e ap­profondita dalla storiografia nei suoi diversi aspetti. Lo stesso Ossicini, sena­tore per 7 legislature nel gruppo della Sinistra indipendente, vice-presidente del Senato, con una breve esperienza di ministro per la famiglia nel governo Di­ni, aveva già offerto non pochi contri­buti personali a una maggiore com­prensione di questa tormentata stagio­ne della nostra vita politica che chia­mava in causa, in un intreccio di rela­zioni ancora non del tutto esplorate, la Chiesa e i due grandi partiti, la Dc di De Gasperi e il Pci di Togliatti. In realtà l’80% del materiale (documenti politici e personali, copie di lettere, ritagli di giornali, rapide annotazioni) era anco­ra conservato nei cassetti di Ossicini ed ora viene alla luce in un corposo volu­me (La sfida della libertà, Il Margine, pp. 368, euro 20) che parte dall’antifa­scismo e arriva alla nascita della nostra democrazia. Con alcune notazioni che trascendono l’esperienza della sinistra cristiana, nelle sue varie denominazio­ni («partito cooperativista sinarchico», «partito comunista cristiano», «sinistra giovanile cattolica», «movimento dei cattolici comunisti», «movimento dei lavoratori cristiani» nell’Italia del Nord) che consentono di verificare il compor­tamento di componenti sempre più e­stese del mondo cattolico. Certo, Ossi­cini parte dal retroterra familiare: il pa­dre «solido antifascista, dirigente del disciolto Partito popolare, sempre al­l’opposizione »; la madre impegnata nella Fuci. Ma il suo antifascismo si ac­compagna al distacco crescente di non pochi circoli giovanili cattolici (a Roma ma non solo) e della Fuci nei confronti del fascismo. Al convegno degli univer­sitari cattolici ad Orvieto, Ossicini de­nuncia pubblicamente l’esistenza di u­na dittatura che aveva «cancellato ogni libertà» e i presenti lo guardano «come se fosse impazzito», annotò l’allora stu­dente Vittorio Emanuele Giuntella. La sua attività e quella dei suoi amici (gio­vani cattolici e militanti nel Pci, come Ingrao), che si stanno ormai organiz­zando sempre più non solo della capi­tale, suscita l’attenzione delle forze del­l’ordine (ministero degli Interni, Ovra, ufficio politico della Questura). Un gruppo di giovani cattolici viene arre­stato. In loro favore si muove Pio XII che, tramite il cardinal Maglione, riesce ad ottenerne la liberazione. Ossicini, ri­coverato nell’infermeria di Regina Coe­li, rifiuta di chiedere la grazia ed è de­stinato al confino; lo salva il 25 luglio.
Andreotti gli scrive che, per non dan­neggiarlo, Pio XII aveva cambiato il te­sto di un suo discorso e gli invia un as­segno a nome della Fuci perché «potes- si curarmi e ristabilirmi». Tornato in li­bertà, Ossicini si reca da Pio XII per rin­graziarlo; e il Papa gli dice: «La coscien­za è vostra. Noi si è fatto ciò che si do­veva fare, ma adesso si apre un periodo di impegno fondamentale per tutti. Cercate di non fare cose sbagliate».
Con l’8 settembre inizia la Resistenza.
La formazione di Ossi­cini è impegnata in tre combattimenti alla Montagnola, nella via Ostiense, a Porta San Paolo. Il suo giudizio sulla lotta di Liberazione è esplicito: non è stata guerra civile. «La Resistenza fu un aspetto fondamentale della guerra combattuta agli ordini di un governo legittimo contro i tedeschi. Roma fu sempre territorio di guerra sotto il con­trollo dei nazisti e la lotta da noi fu fatta su richiesta degli Alleati». Nei sotterre­rai dell’ospedale Fatebenefratelli era stata impiantata una radiotrasmittente per comunicare con il governo di Brin­disi e gli Alleati e nello stesso ospedale fu organizzato un reparto per ricovera­re gli ebrei, tutti colpiti dalla «sindrome SK» («sindrome Kesserling»). Un gene­rale italiano fermato dai tedeschi fu li­berato da Gianluigi Rondi che, con do­cumenti falsi, aveva raggiun­to l’albergo do­ve era stato portato. Con un mandato di scarcerazione falso furono fatti uscire Sa­ragat, Pertini e altri 5 socialisti detenuti. Ma soprattutto ca­se religiose, monasteri, conventi, par­roci e suore anche di clausura furono mobilitati. «Noi vi daremo tutto l’aiuto che possiamo per il lavoro che fate nell’aiutare gli sbandati», gli aveva det­to il cardinale vicario di Roma, Mar­chetti Selvaggiani. Annota Ossicini: «Tutte le cose fondamentali che noi fa­cemmo erano ufficialmente conosciute dal Vaticano. Il nostro movimento non aveva fondi e senza l’aiuto della Santa Sede la mia attività a Roma e fuori Ro­ma sarebbe stata impossibile».
«Avvenire» del 20 aprile 2010

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